Trovati - trovami - trovami in te
trovati in me poi
dimenticati dov'eri
e ritrovati
in me che ti trovo
perché mi trovi e mi ritrovo:
quanti due siamo io e te?
Due o di più
a multipli di noi?
Perditi ché poi ti ritrovo
ché perdermi non se ne parla
se ti trovo in me confusa
ma non spersa, né sparsa
piuttosto tutta intera:
l'avresti mai detto? Io sì.
Ci son pezzi di te
sotto i mobili
il tappeto
nei posti dov'era da un po'
che non guardavo più.
Anticipavano il ritrovamento
in me di te
e - l'avresti mai detto? Io no -
di me in te.
Allora fermati quando mi trovi
poi cercami ancora
con mezzo respiro prima
di ogni sguardo,
con mezzo sorriso
da ricucire intero
un secondo dopo il mio
e fa' che ti trovi senza cercarti
fa' che mi trovi senza sfuggirti.
E tutto questo è un giro
che non lascia postumi
all'equilibrio circolare
e tutto questo è un vortice
alimentato all'infinito
dalla mia scoperta ritrovata
di te in me.
Saturday, December 25, 2010
Monday, December 13, 2010
Patteggiamento
Io
ti cito per danni
da assuefazione al bello
ché è tutta colpa tua.
Io
ti incrimino
per l’intensità reostatica
dei tuoi movimenti
verso di me.
Io
ti faccio a spicchi
come i mandarini,
a quadretti
come i ravioli,
a striscioline
come fettuccine o
un documento
compromettente.
Io
finché non la smetti
di credere alle lancette,
ti affetto tutti i cinturini
degli orologi,
ti sradico i numeri
dai quadranti,
ti dedico un’ecatombe
di cucù.
Io
ti scartoccio e ti spiano,
ti sfilo, forte
come il foglio dal rullo
della macchina da scrivere.
Come una cerniera lampo:
riaperta la bocca
cucita.
Io
finché non ti fai
appallottolare e
portare via
in braccio
- via lontano, intendo -
ti lascio stare.
Sì, hai capito bene:
io ti lascio
stare.
Tu prenditi il tuo tempo
che forse poi
anche il mio
così
avrai.
ti cito per danni
da assuefazione al bello
ché è tutta colpa tua.
Io
ti incrimino
per l’intensità reostatica
dei tuoi movimenti
verso di me.
Io
ti faccio a spicchi
come i mandarini,
a quadretti
come i ravioli,
a striscioline
come fettuccine o
un documento
compromettente.
Io
finché non la smetti
di credere alle lancette,
ti affetto tutti i cinturini
degli orologi,
ti sradico i numeri
dai quadranti,
ti dedico un’ecatombe
di cucù.
Io
ti scartoccio e ti spiano,
ti sfilo, forte
come il foglio dal rullo
della macchina da scrivere.
Come una cerniera lampo:
riaperta la bocca
cucita.
Io
finché non ti fai
appallottolare e
portare via
in braccio
- via lontano, intendo -
ti lascio stare.
Sì, hai capito bene:
io ti lascio
stare.
Tu prenditi il tuo tempo
che forse poi
anche il mio
così
avrai.
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