La luce mi pesa sulle spalle, sulle braccia, sul collo dei piedi dove la pelle è più sottile e tirata. Mi pesa la luce piena del primo pomeriggio, con il caldo propagato ovunque da un'umidità pesante che si scontra con il cloro, esalato dalla piscina come aria da un pallone sgonfio.
La luce mi pesa immobile come il caldo immobile, mi pesa come questo pensiero immobile che adagio sulla superficie dell'acqua come una coperta immobile, come quei teli che impediscono all'autunno e alle foglie di riempire la vasca vuota. Il vuoto non è immobile. L'acqua solo in apparenza. Il mio pensiero è immobile: combattuto tra l'umido di questo caldo immobile e il cloro che sfiata come un pallone che si sgonfia.
La luce e il caldo talmente ovunque che non trovo la direzione dei raggi. Non capisco dove potrebbero formarsi le ombre, dov'è la mia e quella di questo pensiero immobile. Serve un filtro a questo pensiero adagiato come una coperta sulla superficie dell'acqua. Frugo tra le foglie un metro alla mia sinistra, cercando il varco attraverso il quale tutto questo caldo, questa luce immobile e pesante si fanno strada a fatica, costretti ad attendere un infinitesimale cambio di direzione del vento per oltrepassare lo schermo verdescuro creato dai rami.
C'è un unico raggio che vince la resistenza impassibile. Un unico raggio filtrato che colpisce la porzione di sdraio dove, fossi orizzontale e priva del mio unico pensiero immobile, sarebbe il mio viso. Il mio viso senza alcuna protezione. Senza nessun filtro. Senza ombre. Un unico raggio che vince la resistenza impassibile delle foglie e -mi convinco immobile- con buone possibilità di debellare anche la mia.
Ma io sono seduta al bordo esatto della sdraio. Immobile -la sdraio- tra me che scombino la sua stasi surriscaldata e l'unico raggio che compensa all'altro estremo il concetto mai così relativo di 'equilibrio'. Alla mia destra il mio pensiero immobile, largo pochi necessari centimetri, tiene il baricentro di questo primo pomeriggio caldo sotto la luce pesante e immobile.
C'è un solo modo -mi dico- un unico modo per interrompere tutto questo, tutta l'immobilità di un ciclo asfissiato da un equilibrio precario, basato su strati di luce e umidità e cloro e sdraio che si fronteggiano impassibili dallo spazio rispettivamente occupato. Un unico modo che mi formicola sul collo del piede dove la pelle è più sottile e tirata e ora lievemente rossa di primo pomeriggio. C'è un unico modo e mi alzo e la sdraio, sbilanciata, disastra all'indietro. L'unico raggio filtrato zizgaga di ombre mai viste. L'umido e il cloro si mischiano irritati e spumano minuscole bolle di vapore, mentre il mio corpo distrugge l'immobilità dell'acqua e dell' unico immobile pensiero adagiato.
(In qualche modo a partire da: Anna)
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