Noi ci vediamo tutte le mattine alle sei e trenta abbastanza puntuali anche quando è inverno e alle sei e trenta abbastanza puntuali è ancora buio noi ci vediamo con una specie di piccola, assonnata urgenza che ci muove i piedi nelle scarpe ci accolla il cappotto se fa freddo ci arrotola le maniche della camicia se fa caldo, ci sbadiglia il caffè sbuffandolo sul palato, ci accende -a quelli di noi che fumano- il primo raschio in gola coi polmoni che si attorcigliano all'umido del giorno che nasce e alla nicotina che sfrigola. Noi ci vediamo tutte le mattine chediomandainterra alle sei e trenta abbastanza puntuali -anche quando è inverno- ci vediamo al parco quello con le palme che ci fa una palma accanto a degli alberi di pèsche e ai pinidiroma che ci fa? -mi chiedo, inutilmente. Noi ci vediamo alle sei e trenta minuto più, minuto meno perché tutti noi tutte le mattine chediomandainterra portiamo i Pensieri a fare la passeggiata.
Non so chi ha iniziato: ci sarà pur stato un precursore, qualcuno che ha avuto l'idea. La nascita della consuetudine invece l'ho vissuta in buona parte e ne conosco lo stratificarsi, con quel misto di cameratismo compiacente e oculato distacco che presiede a tutte le forme di associazione spontanea. Non ci sono discriminazioni, questo posso dirlo con certezza. Abbiamo età diverse, differente estrazione sociale e neanche l'aspetto fisico conta più di tanto. Tutti noi abbiamo solo i nostri Pensieri da portare a passeggio; però non essendo i Pensieri visibili allo stesso modo dei cani di quelli che si riuniscono nel parco adiacente al nostro, non c'è competizione. Non c'è vanto. Tantomeno i convenevoli cinofili sui pregi di una razza o un'altra. C'è un silenzio un po' strano, questo sì. Ma è un silenzio a cui ci si abitua in fretta; dal quale -anzi- si imparano i rituali e le accortezze reciproche. Arriviamo quasi tutti con le mani in tasca. Chi sgambando leggero, chi con le spalle curve dei giorni più assillati. Ci scrutiamo, un cenno di saluto, le prime parole.
"Oggi non voleva uscire. Ho faticato per convincerlo a muoversi... ma dovevo portarlo fuori"
"Ha fatto benissimo: quando rimangono in casa la mattina, poi ti tormentano tutto il giorno. E non è la stessa cosa, scarrozzarli il pomeriggio. La sera poi, non ne parliamo. Il tramonto è una staffilata!"
"Quanto è vero... Quanto è vero!..." -questo che interviene è quello che chiamo il Dentista. Lo chiamo così nonostante non conosca la sua professione. Lui ha due Pensieri. Li porta fuori sempre insieme. Tirano i loro guinzagli immaginari con molta forza. Difficile pernsarlo eretto senza l'insistenza delle sue due ansie.
Mentre il Dentista dice la sua, arriva il Matematico. Un tipetto tutto arrovellato che pesca fogli stropicciati dalle tasche del parka come un prestigiatore le carte truccate. Scrive ogni cosa. Tiene uno storico dettagliatissimo del suo Pensiero. Ne misura continuamente le variazioni imprevedibili di peso e altezza. Appunta cambiamenti di forma e entità. Elenca, curvo sulla matita che tiene in punta, ogni deduzione possibile. Credo sia determinato ad eliminare il suo Pensiero, che comunque non si direbbe proprio in gran salute. Il Matematico lo tormenta di domande, quello strattona muto e -progressivamente- si indebolisce. Ne abbiamo visti non pochi sparire così. Qualcuno è tornato. Col medesimo Pensiero che camminava avanti a testa alta, fiero di aver resistito a qualcunque assalto: orgoglioso del suo essere praticamente assurto al rango di ossessione. Altri invece hanno ricominciato a farsi vedere con un Pensiero diverso. Lo sguardo imbarazzato di quando si presenta un nuovo partner agli amici di una vita. Un fruscio di nostalgia negli occhi.
Siamo gente strana, noi. Ci affezioniamo fiaccati dalla consuetudine. Siamo molto più soli senza le nostre riflessioni, ottuse come scariche in un circuito chiuso.
I nostri Pensieri evitano di incrociare lo sguardo tra di loro. Si ignorano, razzolano pigri, mantendendo una certa distanza l'uno dall'altro. Sanno che sono appesi a quelle nostre riflessioni. Sanno che a tenerli in vita è la loro unicità. Mischiandosi, si imporrebbe il confronto e -invece- ognuno di noi deve essere convinto di gestire il fardello peggiore. O almeno il più pesante: il più presente. Il Suo. E' una supremazia triste, guadagnata evitando ogni comparazione e incancrenita dal nostro piccolo rituale quotidiano.
Arriva il signor Campo. Il signor Campo è un uomo in là con gli anni, proprietario di un Pensiero schivo e emaciato che gli ronza sempre attorno alle caviglie. Il signor Campo stesso è cerimonioso e mite. Oggi però sgambetta emozionato. E' solo.
"L'ho perso! L'ho perduto! Mi sono voltato per qualche secondo -scusate, buongiorno a tutti- e poi non c'era più! E' scappato!"
"Ma si figuri! -è il Matematico che lo rimbrotta- Piuttosto, se lo sarà dimenticato!"
A quella frase, tutti stornano lo sguardo altrove. Il Matematico ha commesso un grave errore. I Pensieri, lo sanno tutti, non si dimenticano. Sarebbe un'eventualità impossibile da sostenere. Una disgrazia che annullerebbe anche il proprietario. Un Pensiero non si dimentica. Si allontana, si giustifica, si maschera, si corregge, si alimenta, si sviscera. E' consentito quasi ogni tipo di interazione. Dimenticarsene è fuori discussione.
Il signor Campo increspa la bocca. Qualcuno si avvicina tentando di consolarlo. Il Matematico è imbarazzatissimo e il suo Pensiero lo tira con più rabbia del solito, nonostante sia poco più che pelle e ossa. Li guardo tutti, da qualche metro di distanza. Li guardo tutti e poi porto lo sguardo al mio Pensiero che mi ricambia uggiolando stanco. "Dovresti proprio andartene", penso. "Dovrei decidermi a lasciarti libero e forse -forse- non torneresti". "Non so più nemmeno se arriveresti a mancarmi, sai? Non lo so più perché in fondo sei un'abitudine come tante che si prendono, pure se io piuttosto t'ho contratto come fossi stato una malattia. I sintomi c'erano tutti eppure non ti riconosco più. Né riconosco più in te parti di quello che sono stato". Mi chino e un cane, un cane proveniente dal parco accanto s'infila oltre la rete divisoria corre con la lingua che sbava corre come avesse visto la chimera della sua vita o fosse inseguito dal più gigante accalappiacani dell'universo. Corre con quell'andatura un po' obliqua che hanno i cani quando corrono molto veloce: sembrano motociclette, sembrano frecce storte, sembrano curvi come è curva la terra. Corre e arriva in mezzo al nostro gruppetto che ancora è gelato dalla frase del Matematico e tutti raspano con la punta dei piedi in terra e non sanno troppo bene come reagire dove andare dove guardare io mi chino ancora verso il mio Pensiero "Va' -gli dico- va' e non tornare. Va' e trasformati in qualcos'altro, qualcosa che non mi inchiodi mai più alle sei e trenta puntuali di ogni mattina chediomandainterra, trasformati o sparisci ma liberiamoci entrambi liberi sant'iddio, liberi di costringerci a qualcos'altro a qualcun'altro ai cani che corrono curvi come la terra curva dei Pensieri curvi di troppa, troppa gente.
2 comments:
dunque.
quello che volevo dire, in breve, è che mi piace questo blog e mi piace la tua libreria su anobii (e ti aggiungerò come vicino) e mi piace il tuo tumblr e mi piacciono le tue foto e insomma mi piace un po' tutto, ecco. tanto di cappello.
Graziedavvero, M.
Non so troppo bene cosa aggiungere, ma sono contento che quello che hai visto ti piaccia.
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