E non c'è niente
da capire
diceva quello lì
che è una frase
abbastanza desolante
fa un rumore
-ne avesse uno-
di pallina che rotola
giù
tra le pinne
di un flipper;
un gesto
-ne avesse uno-
di mani in tasca
pugni chiusi
(gesù, che canzone)
un gesto
di voltarsi
e camminare
coi passi
pesanti il triplo
tipo sabbie mobili
e nelle tasche
un chilo di spiccioli
(oltre ai pugni chiusi
ché fan volume).
Ora, io dico,
non c'è niente da capire:
col cazzo
te ora mi spieghi
mi dici
i perché
i percome
i forse
i chissà
mi racconti tutte
le stronzate
che ti sei raccontata
ma tutte tutte
e pure quelle
che hai raccontato a me
ché la donna
c'ha un concetto
di stronzata
assai indulgente
perché c'ha l'istinto:
io c'ho l'intuizione
invece.
"Uno pari"
si potrebbe pensare
- col cazzo
(e due).
C'è da capire
c'è sempre da capire.
Spiega
ora mi racconti tutto
ne hai di arretrati
(anni)
mi metto comodo
guarda
neanche ti interrompo
mi mordo la lingua
mi torturo
le punte delle dita
mi gratto la testa
parla e spiega.
Sono uno
che se gli spieghi
poi si sente meglio
poi non conti più
diventi una cosa
minore.
Un sufflè che si sgonfia.
Un post-it che
si scolla.
Anzi guarda
-appunto-
ci ho ripensato:
facciamo che
basta.
No, sul serio
lascia stare
non è vero
che non c'è niente
da capire,
ma lascia stare
è uguale
cioè non è uguale,
ma non importa
più.
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