Wednesday, November 30, 2011

Le mani (oltre)


La prima volta che
ti son passato attraverso
avevo l'autunno nelle spalle
e pensavo non ti saresti
fermata.
E invece.
La mia mano t'ha oltrepassato
e ho creduto ti stessero proiettando
da un qualche angolo
ologrammando.
Svanivi come svanisce
il superotto contro la carta
da parati
come svanisce l'umido
dagli occhi dei sorrisi.
Belli (tra parentesi)
che erano
i tuoi occhi umidi di sorrisi.
E invece.
La seconda volta che
ti son passato attraverso
era durante un secondo infinito
in cui siamo stati
a reggere un vetro
e gli altri a dire
che era uno specchio
- sciocchini -
non sanno quanto
sapevamo muoverci
perfetti e complementari.
E invece.
Neanche ci siam visti
siamo andati oltre:
attraversandoci - appunto.
L'ultima volta che
ti son passato attraverso
stavi per raccoglierti
i capelli in quel modo svelto
di quando non avevi
il minimo dubbio su me.
E invece.
Un dubbio io,
non so neanche più
cos'è.

Monday, November 21, 2011

Alberi e Lampioni (tornando a casa)


Se torno tardi,
ma molto tardi,
io cerco di parcheggiare
vicino casa.
Altrimenti mi tocca discutere.
Sulla strada lunga
mi tocca di litigare.
Alberi e lampioni: un casino,
si intromettono
coi pensieri del ritorno.
Ci hanno questo problema
che devono dire la loro. Sempre.
Più spesso i lampioni
- lo dico per correttezza -
son loro che insistono.
Dovresti fare così e colì.
Fai sempre tardi.
Non l'hai accompagnata a casa.
Non hai detto quella cosa.
Hai parlato troppo.
Smetti di fumare.
Dopo la terza birra
ti faresti vendere pure un'enciclopedia.
Oh! - gli dico certe volte.
Oh! Basta un po'!
Loro - macché - continuano
a pioggia fotonica: dall'alto, evidentemente,
dispensare consigli è più facile.
L'altra notte, per esempio
m'han preso per sfinimento:
"Non ti metti più in gioco, signorino.
Cosa pretendi? Mica è gratis, la fortuna".
Siccome son furbo
gli ho risposto:
"Quando c'è sentimento
non c'è mai sbattimento".
Niente - macché - 'manco una risata.
Anzi, uno s'è fulminato,
credo. E gli altri superstiti
hanno ricominciato.
"Ma cosa credi, cosa pensi,
che non si capisca, che non si veda
che non ci metti del tuo?
Che non rischi niente?
Che resti a distanza di sicurezza
dalla gente?"
Ci ho un'età
- gli ho risposto -
da adulti è così che si fa.
"Fifone!" (buio) "Vigliacco!" (buio)
"Codardo!" (buio) "Cazzaro!"
"Oh!" ("Scusa, ho esagerato").
Comunque, com'è come non è,
mi sono fatto cento metri
tutto stressato
da quel processo illuminato
a intermittenza, ma pur sempre illuminato.
Gli alberi, invece, zitti.
Checcazzo, quando dovreste difendermi
mai che vi si trovi. Mai che interveniate.
Allora mi sono fermato
alla fontanella, per far finta di bere
ché magari si calmavano, vai a sapere.
E sento bisbigliare

psss...psss...
(No, santiddio no. Il maniaco dei giardinetti no.)

Invece era un faggio. Tutto smilzo e piccoletto.
Chiaro chiaro di luna. Mi son girato e m'ha detto:
"Smettila di avere paura", m'ha detto.
"Ti ci metti pure tu?", gli ho detto.
"Smetti di farti mettere paura", m'ha detto.
"Torna a casa e chiamala", m'ha detto.
"So' le tre", gli ho detto.
"E' sveglia", m'ha detto.
"Ci parli te con quelli?", indicando i lampioni,
gli ho detto.
"Vai tranquillo", m'ha detto.
"Oh. E se poi non risponde?", gli ho chiesto.
"Cammina, cretino".
Era sveglia. Era ancora presto.