Tuesday, December 18, 2007

Duemilasette




(...) I testi e la voce di Ferraby Lionheart in un disco e un ep infinitamente pieni di talento: "Not a useless word, in a book, in a song". L'aria immobile di Milano con Lynch nella testa, i Fiery Furnaces su una Polaroid e nelle orecchie e l'alba dentro, al centro del petto. Guille Milkyway e la sua Casa Azul che si ripete e si rinnova, il suo europop sopra le righe, le solite due strofe che piazza e ti fanno sorridere. Jens Lekman sempre più insopportabile e sempre più crooner e sempre più bravo. Il plagiarismo smodato e disinvolto dei Marmalade Souls, attorcigliato alle melodie come la lingua in bocca che schiocca dopo il dolce. La 42records, Emiliano e le -pochissime- persone che ancora rimangono e un perché c'è. Emma e Davide e la stima e l'affetto che ci hanno legato e ci legano. Sandro e Peppe, i Turnpike Glow, la loro scelta, l'amicizia che si declina nella speranza di ogni bene possibile. La mia città così difficile e così bella: da prendere prima a pugni, poi a carezze e infine anche un po' in giro. Bologna tanto immobile e compiaciuta eppure ancora così stranamente vicina. Chi l'avrebbe mai detto di ritrovarsi a imparare a conoscerla e a volerle ancora bene di nuovo. Un angolo di sabbia, ciottoli e mare dove il tempo non esiste e -più su- un quadrato d'erba dove il tempo è iniziato con un urlo nella testa. Il genio pop bulimico e prolifico di Montt Mardié, il suo falsetto così soul, le sue storie così meravigliosamente patetiche. I campi di picnic infiniti dei Pants Yell!, fieri appartenenti alla schiera di quelli che non hanno paura di giocarsi la melodia in cambio di niente. "In Rainbows" e il suo polverone. Possono farlo perché sono i Radiohead. A tutti gli altri restano i fan da scovare, gli escamotage più o meno intelligenti e i riflussi dell'industria. "In Rainbows" virale più nella musica che nella trovata. Infettivo esempio di come il pop sia materia da mani intelligenti e il rock sia e sarà sempre in fondo materia per mani messe (d)avanti alle canzoni. Kevin Devine e quel titolo "Put your ghost to rest": ci tocca essere bàlie sapienti, con la voce arrochita dall'esasperazione e il sorriso buono per i 'buonanotte' migliori. "And I've known trouble all my life and I'm sick of asking why. It's like screaming at a set of dice. They're gonna role the way they role and then you're never gonna know. So getting crazy's just a waste of time". Gli Irene così Lekman e, in un paio di episodi, una spanna sopra il loro nume tutelare (ma chi ha più l'onestà e la luminosa presunzione di cantare frasi come: "You're not ready for my kind of love"?). I Lucky Soul che seppelliscono le Pipettes e riportano i pois e le sinfonie Spectoriane fuori dall'attuale mainstream -ché è quello il loro posto- tra chi spera e crede che un po' più di stile ci salverebbe proprio tutti. Una statale paralizzata dalle ceneri di un pullman mentre premi la guancia contro il finestrino e ascolti il debutto agrodolce degli Annie Hall. Lo scheletro metallico che impressiona la retina come la consapevolezza di aver fatto il gesto giusto, di aver calato le carte nel momento migliore. Rivederli sul palco e ripetersi allo specchio dei bagni del Circolo che ce l'hai fatta: che hai vinto una delle battaglie. La guerra avrai tempo di disertarla o di vincerla senza accorgertene, impegnato in tutt'altro. La voglia di suonare dei My Awsome Mixtape, sentirli e vederli dal vivo a ricordarmi quanto certe età io le abbia poi tutte sballate. Un concerto vicino al mare in cui sentirsi meravigliosamente 'soli'. Le prime sublimi, immense venti pagine de "I Rabdomanti" di Moody, che prendono a calci nel culo tutto il ciarpame intravisto in circolazione, tutte le menzogne senz'arte né parte, tutti questi rischi mai presi, tutto questo scrivere informazioni: libri, giornali, web. Tutto questo informare senza un briciolo di passione o di cuore. Addio: wooosh, spazzato in venti pagine di talento e verità alla luce del sole. Aver mancato il concerto dei Wilco. Aver mancato il concerto degli Okkervil River. Esserne così triste e insieme felice e, intanto, gioire di due dischi diversi e simili, ascoltati mille volte a schiantarsi di accordi di settima e di coraggio. Sentire Battisti più spesso ovunque. Poco importa che siano serviti degli allegati in edicola. Un cucciolo di cane, femmina, che ha stracciato il guinzaglio e mi ha costretto a pensare che dovevo cambiare ancora una volta. Il minimo che poteva capitarle era finire su una copertina. L'idiozia e il divertimento in radio, i Son Volt ascoltati con il dorso delle mani ghiacciate sul volante e i Tuung che bussano sul vetro di una porta: chiusi fuori per colpa della nicotina. Trovarti seduta in braccio a me, dove speravo saresti finita. L'ep di David Bazan e il suo cattolico delirio: "Padre perdona loro..." e regalaci per sempre melodie così. Dacci un preset Casio su cui addormentarci felici. Dylan, di cui riesco davvero ad ascoltare solo tre dischi e che invece mi innamora in "Cassadaga" di un Bright Eyes incredibilmente riflessivo -'cresciuto'- e nell'urgenza di Josh Ritter. Eggers che si reinventa ancora una volta e tu non spieghi neanche più perché ami quello che fa. "New York, I love you", mandata in onda a mille brividi al secondo e poggiata sul mobile che fa da comodino. I limiti infranti a scudisciate dolceamaro nel nuovo The Dirty Projectors. Panda Bear, gli Animal Collective, la Akron/family e tutto quello che dimostra che si può parlare di vita e amore e suonare sperimentali(ssimi) e folk senza riempire locali veri e virtuali di facce meste e nihilismo. Il mio perdono che arriva tardi, in ironico ritardo su quanto scopro svanito: sporcato e poi sbiadito nella sua grigia corsa verso il nulla. I miei adorati Mum che anticipano un disco 'solo' bello con un live radio da infarto. I National che sprangano le finestre e i sogni da discount con la gente dentro e i The Most Serene Republic che arrivano a far prendere aria a lenzuola e capelli. Gli Altro che lanciano una palla da bowling contro i miei quattordici anni. E mi fanno malissimo e bene allo stesso tempo. Gli Of Montreal che dal vivo scheccano da dio e pochi sono così angolarmente pop in calzamaglia. Forse solo gli Apples in Stereo con il loro fiume di accordi: matematici e roboanti -senza calzamaglia, però. Tutte le risate e il delirio che mi hanno causato i Valderrama5 a cui sarò sempre debitore. I dischi dei Linda Guilala che continuano ad arrivare nella buca della posta e affondano -lame- certezze piccole e ostinate. Riprendere chine e pennarelli. Chiudersi su una sedia recintata e disegnare, disegnare, disegnare. Aprirsi su una sedia circondata dalle briciole della colazione e disegnare, disegnare, disegnare. I pezzi che ancora devo mettere in ordine e -quindi- ci sono gli Shout Out Louds: in totale armonica confusione, in perfette opportunità di confondermi. Bene e male, gracile e robusto. Strati su strati di cupa passione mista a nostalgia dell'altroieri. Uniti nella delusione il debutto dei Voxtrot -grandi speranze prodotte male- e "White Chalck" di Pj Harvey -pretenzioso lavoro prodotto benissimo. Bello l'estro notturno e umorale di Loney Dear e quello ricercatissimo fino al millimetrico cardiopalma dei +/-. Altrettanto ricercato il disco di Slope (microglitch da cesello) mentre "Cosmos" di Murcof può convincere molto solo chi ha scoperto certa elettronica l'altroieri (compresa la sua). Scuro e denso EL-P, ma meno convincente del solito, Vert che si mette a scrivere canzoni; l'immenso "Interregnums", il bonus disc del "Preparations" di Prefuse73. 'Opera', nel senso più stretto del termine, ambiziosissima e riuscita; suoni di questo mondo (acustici) a suggerire percezioni di altri mondi (elettronici?). Cos'è (or)mai l'elettronica? Una bella chiacchierata sulla musica fatta a un tavolo del SinisterNoise oltre l'orario di chiusura. I Maritime che ne infilano un altro, complicandosi la vita molto più che bene e finendo per somigliarsi meglio. I Dashboard Confessionals di "The Shade Of Poison Trees": io -lo dico- se fossi adolescente oggi, ascolterei emo fino allo sfinimento e loro sarebbero i miei eroi. Siccome adolescente non sono, loro rimangono per me 'semplicemente' una band di enorme talento. L'ho detto. I Rogue Wave che hanno licenziato un disco che è un bicchere d'acqua gorgogliante. E' acqua ed è buonissima. Il fulminante "Gaps" di Monster Bobby: diretto, assolutamente irresistibile. Padronanza travestita da noncuranza. Padronanza pop vera, quindi. I Subsonica in spolvero sfavillante, acciambellati sul passato e protesi al futuro. Infiniti quando la piantano con lo spleen sabaudo e sgranano perle: "Quella porta è un dolore lontano, che nessuno doveva vedere" (Canenero). La pancia più sottosopra del solito per quello che accade in Tibet e -era ora- diventa cronaca, inchiesta, riprese. Tutto il rosso e l'arancio delle tuniche, gli interessi, la mobilitazione a tempo determinato e uno dei tuoi desideri che rimane tale, ma acquista voglia. Poco cinema, ancora una volta. Poco cinema 'in sala' e tanto in casa: braccia conserte e occhi vigili. Non hai ancora ascoltato il disco dei Dead Kennedys. Non hai ascoltato un sacco di cose. Hai consumato i Cripple Lilies e gli Stars, decine di cdr masterizzati al volo prima di uscire. Ti sei scorticato testa e immaginazione su quello che non hai capito immediatamente, come al solito. L'ennesimo disco bellissimo dei Pinback, la magia solenne degli Arcade Fire e della loro Bibbia al neon, ma più ancora la coincidenza di un regalo, le esplosioni ovunque vai, ora. Ché ti devi un po' abituare a tutte queste deflagrazioni, tu che detesti persino le porte che sbattono; eppure è un rumore diverso, è un ronzio di fondo che ti si attorciglia ai timpani caldi e decade con la lentezza di un ultimo "ciao".
Ciao.

Wednesday, December 12, 2007

Repeater




La sala due è aperta alle estremità longitudinali, sorvegliate da altrettante hostess che si lanciano annoiati sguardi di intesa ad ogni segnalazione acustica causata dagli avventori troppo prossimi alle opere esposte. Dopo il controllo all'ingresso, degno del check-in di un volo per Teheran, non saranno certo un paio di tailleur rosso pastello a impensierirmi. Sorrido per compiacenza ad una delle due addette che si liscia la gonna. La gonna non fa una piega.
Lei intanto è nell'angolo opposto, come stabilito.

Scrivi nuovo messaggio.
"Tutto pronto. Avevo detto niente roba vistosa".
Invia messaggio.
...bzz, bzz, bzz.
Nuovo messaggio. Leggi messaggio.
"Vistosa un cavolo. Ho una nuance di castano per cui Rory Gilmore piangerebbe lacrime amare. Aspetto segnale ".

L'aggeggio tecnologico, frutto degli ultimi mesi di lavoro e scampato al metal detector all'ingresso, è un Ripetitore. In breve: capta suoni attraverso un microfono e li trasmette a tutti gli apparecchi nel raggio di dieci metri che siano dotati di un altoparlante. A lei l'incombenza di scegliere la vittima.

Ci sono almeno venti audioguide deambulanti. Inequivocabile la postura: a metà tra la chiamata in assenza di campo e il "Passami una penna che me lo segno... Scusa, puoi ripetere?".

...bzz, bzz, bzz
Nuovo messaggio. Leggi messaggio.
"Trovato. Giacca dell'Adidas su pantalone multitasche. Zona primo Lichtenstein. Gesticola ad una che sta per tentare il suicidio con le scatole di Brillo. Passo".
Rispondi. Nuovo messaggio.
"Individuato. Pare un Simpson. Mi avvicino. Tieniti pronta".

Perché in fondo -ho pensato- in fondo è questo quello che fa la differenza. E' questo che fa la differenza quando chi parla sentenzia come se le poche persone presenti fossero un pubblico e non degli interlocutori. E' questo che fa la differenza tra il delirio egotico e il confronto o la pacata opinione. La differenza -ho pensato- la fa il numero. Bella forza: sai che intuizione. Già. Però -ho pensato- quella cifra di scarto a cui si rivolge vaneggiando il delirante egotico di turno è sempre assente. Cosa accadrebbe se ci fosse improvvisamente davvero un pubblico nutrito? Se quella platea apparisse d'un tratto? Cosa accadrebbe se quelle parole finalmente davvero si confrontassero? Le scaramucce, per piccole che siano, non si possono combattere a distanza di sicurezza.

Lei ha in dotazione un altro congegno che amplificherà il segnale ripetuto. Una specie di ponte-radio. Siamo sincronizzati. Abbiamo ripetuto l'esperimento decine di volte. Entro nel raggio del Simpson blaterante. La sua accompagnatrice è effettivamente a un passo dal suicidio. Le va riconosciuto un autocontrollo mica da ridere.
"Perché poi, vedi, la pooopart è anche taaaaaanta immondiiizia... Vedi (vede) per esempio questo...questo Lichtenstein...vedi.. (vede)"
E' il momento. La cerco con lo sguardo. Non c'è che dire: è una nuance impeccabile quella che oscilla annuendo.
Contatto.
"Vedi (vede)- per eseeempio questo Lichtenstein non è un lavoooro... non è un'operad'aaaarte... questo Lichtenstein è uno stuuudio! Solo un banale stuuudio!"
Il vaneggiamento viene sparato alla giusta dose di decibel nelle orecchie di tutti i -fieri- possessori di audioguida. Sulle prime la novità viene accolta da uno spasmo collettivo. Un disorientamento molto simile a quello provocato dalla pressione del tasto sbagliato sul telecomando di un televisore. Poi per fortuna il Simpson continua a indurre la sua accompagnatrice al suicidio e tutti cercano con lo sguardo la fonte di un simile sproloquio. La trovano. Lui se ne accorge. Inizia a indietreggiare verso lo 'stuuudio' e l'aspirante suicida accarezza finalmente l'ipotesi di usare i Brillo contro di lui. Gli audioguida-muniti gli lanciano occhiate di disapprovazione. Il Simpson cerca di andare contro le leggi della fisica accostandosi progressivamente al muro come volesse oltrepassarlo.
Io e lei ci allontaniamo verso la sala tre.
"Questa nuance è abbagliante".
"Grazie. Chilometri di strisce di prova.
La prossima volta mandiamo in onda l'appello di De Gaulle alla Nazione?"
"Sicuro. Quanto dura?"




[L'otto dicembre è scomparso Karlheinz Stockhausen. Grazie al suo genio esiste musica che rende il mondo un posto migliore e un pensiero obliquo in più sulle cose. Tantissimi gli sono debitori e -fra i tanti- nel mio piccolo, anche io. Questo racconto cerca di essere un omaggio a chi ha reso dignità al concetto di 'suono'. A qualsiasi 'suono'. Ricordando sempre il rispetto quasi mistico che gli è dovuto.
"Non avere paura di niente, perché niente ha paura di te" (Karlheinz Stockhausen)]