Tuesday, March 30, 2010

Press Play

Mi lascio costruire
da dentro lo stupore
lo spazio
per le fondamenta:
pilastri immensi di
meraviglia
cattedrali di fascinazione.
Sono un terreno
edificabile
con tutti i permessi
le concessioni
in regola.
Sono come quei pensieri
che ti scivolano
via
dalle dita
aggrappato al mobile
della cucina
in piena notte:
il tempo di
sentirli andare
ed è già l'alba
ed è già la proiezione
alla finestra di un
fermo immagine
irrequieto
un viso che sta per
voltarsi
un milione di volte
al secondo.
Il continuo
promettere
che prima o poi
qualcuno
rilascerà il tasto
della pausa
ed esausto
io finalmente
ancora
quel viso
lo riconoscerò.

Madonna dei Neon

Madonna dei Neon
che proteggi
i corridoi desolanti
delle scuole
le sale d’attesa
e tutti ci rendi
più asfittici tristi
Madonna dei Neon
che falsi i colori
la messa a fuoco
di stati d’animo
e umori
Madonna dei Neon
sfarfalli le raccomandazioni
di questa gente
devota
al tuo culto
reostatico
delle cose
che han bisogno di tempo
per essere viste
in ritardo
Madonna dei Neon
esaurito
il gas consunto
di nobile
ha poco
inerte piuttosto
come il tuo sguardo
immobile
davanti alla mediocre
resa
asintomatica
di un settimanale
patinato
che riflette
il tuo credo
Madonna dei Neon
inutile, dannoso
e povero offende
la semplicità
della meraviglia
con la scusa
del rincorrere il
distante.
Madonna dei Neon
io chiudo gli occhi
dietro i polpastrelli
pigiati
li riapro
ed è già ora
di uscire
al sole.

Saturday, March 27, 2010

Cosedafare (reloaded)

Di mestiere
io farei quello che
legge i libri
con la punta delle dita
sulla punta delle dita
altrui.
Oppure anche quello che
ragguaglia gli squarci
alla fine dei vicoli
così che si aprano
smaglianti
quando passa lei
(citazione).
E poi, io
di mestiere farei
quello che
applica le decalcomanie
protettive
sulle spalle
per alleviare il peso
dei fraintendimenti.
Spianerei le
cose corrugate
con i miei
satelliti
di cartone e stagnola:
orbitanti
geostazionari
stellarmente
ammiccanti.
E -anche- io
di mestiere farei
quello che vortica
le acque dietro agli occhi
che lottano per uscire
tramutandole in succhi
da sorseggiare
fianco a fianco
con i rammarichi
e gli sprechi
di fine giornata
- a che ora staccano
le tue perplessità?
Turni flessibili
sui fianchi che
caracollano
verso di me:
è già il momento di
ricominciare (?)
e ignorare
se hai dato forma
ai tuoi languidi e
coscienziosi Perché.
Questo di mestiere
per dire, infatti
non lo farei:
sostituirmi al tempo
e all'edilizia abusiva
che infesta certi alberi
con la pretesa
di regalargli
prefabbricati
altamente
inadeguati.
Ma il mestiere di
guardarti arrivare
anticipandoti il giusto
quello sì
lo saprei
fare.

Tuesday, March 23, 2010

Orvuar

Ti apro
la porta
che è tardi
mio sciocco
rancore.
Ti apro la porta
tu entra
vuoi mica
un caffè?
Non so, qualcosa di caldo?
C'è ancora
quell'umido
stronzo
la notte
e io
sono un tipo
ospitale.
Mio sciocco
rancore
ti siedi
affianco
e smotti
dei fogli impilati
ti siedi e
mi fissi
come se non
mi riconoscessi.
"Mio sciocco rancore
che vuoi?"
"Volevo sapere se torni."
Mi dici
in apnea.
"Mi tenti
mio sciocco rancore
mi tenti
lo sai che mi tenti."
"E allora perché
non ritorni?
Ragioni ne ho
sconfitte ne hai
fetenti abitudini
a iosa
non sai che dolore
mi dai."
"Mio sciocco rancore
non posso."
"Ma vuoi?"
"Non posso e non voglio
e poi
mio sciocco rancore
non provo ormai quasi
più nulla per te:
dovessi adeguarmi
a tue antiche
pretese
io proprio
rispondere
non ti saprei."
"Ma c'è ancora
qualcosa che senti
lo vedo, lo so
mi evochi piano
lisciando ferite
che
ancora ti portano a me."
"Mio sciocco rancore
è il tempo che passa
e i danni che io
ho seminato con te
scordare giammai
li potrò
ma
mio sciocco rancore
sei un gioco
che sbaglia
le regole
e a perdere così
io non ci sto."
"Ma forse potresti
tentare, rischiare..."
"Mio sciocco rancore
facciamo una cosa:
tu prendi la porta
di casa
in spalla i rammarichi
che trovi sull'uscio
poi quando più avanti
la incontri
salutala
e dille che ha vinto.
Mio sciocco rancore.
Dille che qui
non ti ritroverà.
E goditi almeno
il commosso sorriso
che avrà.

Thursday, March 18, 2010

Pausa in dodici ottavi

Aspetto sulla nota
per entrare
a tempo nelle cose
perfette
fintanto che
ci puoi cantare
fintanto che
ti puoi
prendere un po' in giro
per farle rallentare.
Tergiversare e
non smettere di chiedersi
se in fondo hai fatto bene
a darti il modo di
dimenticare.
Mi manca il sapore
delle risposte
di sabbia panna e
cioccolato
stampate sulla latta,
appese qualche centimetro
più in alto
della mia età.
Mi manca il cerchio che
si chiude come pista
per le biglie,
urlare
arrivato in cima
dove l'unica ragione
per piantare una bandiera
è che poi diventi vela.
E mi manca
non avere da lottare
non dovermi perdonare:
non sbagliare quasi più.
Domandarmi
che cosa c'è di bello
nei miei sorrisi al mondo
che cosa mai ci trovo
in tutto quello che
non ho.
E ancora
mi manca
il desiderio distante dal
dolore
che odora di aprile
mentire
dicendo che al mare
non ti ci porto più.
Eppure mi manca
rubarmi le parole
convincermi che il tempo
mi gioca ancora qualche
strano scherzo.
E in buona sostanza
mi manco pure io
anche se c'è chi mi segue
chiamandomi per nome
ma non è quello che
vorrei
trovassero per me.

Wednesday, March 17, 2010

Ignòro

Quanto misuri
in altezza io
non lo so
quanto di piede
taglia di vestito
niente
non lo so
di coppe di seno
macché;
quanto di metrocubatura
di fianchi morbidi:
nulla, zero, nada.
Ignoro la tinta di melange
dei capelli che hai,
la distanza tra
le labbra tracciando
una diagonale
fino alla punta del naso
non so proprio
quale sia.
Non so che cosa
sognavi da bambina
se effettivamente
ti piacciono gli occhi
scuri o quelli chiari
gli uomini che parlano
poco o quelli
che roboano cazzate
figurarsi:
non so neanche
se ti piaccio io.
Non so se preferisci
la strafottenza
o il coraggio di una
paura confessata.
Non so che suoni ti piacciono
-è importante.
Se preferisci
la pasta al dente
o quella a un passo
dallo sfaldarsi
insieme al condimento.
Non ho la più
pallida idea
di quanto ti interessi
la discografia
precisa
dei Beatles:
percarità
non è fondamentale
ma insomma.
Non so se la barba
i baffi
ti piacciono
oppure no
le metafore
i capricci
boh, ti danno noia?
Gesù, quanta ignoranza
che detengo
di te.
Eppure una cosa
io la so.
Una cosa che l'ho intuita
così
di straforo
mentre andavi in bagno
lasciandomi
in quella solitudine
da intervallo
tra una ripresa e
l'altra
io l'ho intuita:
che tu una finestra
con me
la spalancheresti.
Non è molto,
ma è già qualcosa.
Credo.

Monday, March 15, 2010

Comequando Dentroaccade

Come tutti i baci
che atterrano in formazione
nelle linee che nascondi
quando curvi le intenzioni.
Come il concerto modulare
di mille sensori
che fanno scivolare le porte
di un terminal
prima di uscire
fuori.
Come il suono segreto
dell'appiglio magnetico
al primo sguardo
appena riemersi
dall'acqua
o il contatto
curativo
con ogni incavo
del corpo
completato.
Come l'inquietudine
collinare
delle barche rovesciate,
come il tempo
antilineare
sotto le coperte
rabboccate.
Come l'aria che non serve
quando il respiro scova
quegli anfratti illesi
nonostante la fatica
di sopravvivere ancora;
come il piede poggiato
in mano
che impara un altro
camminare.
Come il gioco di scambiarsi
i millimetri di dubbi
quando leggi ad alta voce
per chi ha smesso
con le favole
di imparare.
Come il giorno in cui
il cappotto
si trasforma in un rifugio
e vorresti registrasse
le parole
attutite dal pesante della lana
idrorepellente
così anche io
come te
allora
mi sento.
Esatto,
mi sento.
Perfettamente.

Saturday, March 13, 2010

Infradita

Ogni tanto io ti vengo a trovare.
Non sempre, non spesso
ché sempre o spesso non si può:
c'abbiamo le nostre vite
le nostre cose
le nostre distanze elastiche e involute.
Però ogni tanto,
diciamo con cadenza semestrale,
io vengo a trovarti
o tu vieni
a trovare me - dipende.
Insomma: ci si trova.
Ci si incontra in posti strani,
io e te.
Negli interstizi dei bocchettoni
dell'aria della macchina
nei carrelli dei supermercati
nelle sbucciature delle ginocchia
quando è un giorno appena
che hanno rimarginato,
nei pacchetti delle caramelle
o delle patatine
con la sorpresa.
Ci si incontra senza preavviso, io e te.
Siamo due testedicazzo vere
io e te
ma ci capiamo:
la bontà ci ha corrotti entrambi
in un modo che la gente non coglie
e ci piglia per matti
(te di più, ché sei scema forte).
C'abbiamo i nostri rituali
hai voglia a schiodarci
col passare del tempo e degli anni,
smorfie come allo specchio
quella volta che abbiamo sedotto
i multipli di noi stessi
in ciascuno, rispettivamente.
Poi, dopo le cose di rito,
te mi ti attorcigli
gambe e spazi infradita,
mi dici piano che sono cretino,
ma è quello in buona sostanza
il mio bello
e parliamo per ore
capitolando arresi
all'evidenza del conoscerci.
Ogni tanto
un bacio ci scappa
perché siamo
due testedicazzo vere
io e te
e pure qualche schicchera
elettrostatica
perché io sono attaccabrighe
e tu c'hai una fierezza
che 'manco uno stormo di regine
o dei cigni in parata (regale).
Ci piacciamo così,
di una confidenza semestrale
che nessuno sa
eccetto
qualche pettegolezzo
una fuga di notizie,
ma niente di conclamato.
Non stiamo lì
a chiederci che fare:
volendo, lo sapremmo pure:
ma la bontà ci ha corrotti entrambi
e sappiamo solo perderci ogni volta
convinti che
questo siamo
questo niente saremo.

Thursday, March 04, 2010

I sogni son dei posti sicuri (quasi)


Io, i sogni,
c’ho due problemi
fondamentalmente.
Il primo è che
li faccio con la regia.
Controcampi mai
ché se ti vedi in viso nei sogni
mi dicono che non stai bene
e io proprio bene non è che sto,
però insomma
‘manco ’sto disastro.

[...continua qui]

foto via

Wednesday, March 03, 2010

Trattreanni

Trattreanni
tu mi cercherai
seduta in cucina
alzando lo sguardo
dal manuale delle istruzioni
di un aggeggio che
ora non esiste,
ma trattreanni
esisterà.
Mi guarderai
in quel modo
buffobuffo
che c'hai di guardarmi
quando pensi che
vuoi fare una cosa
insieme a me.
Trattreanni
mi dirai:
"Massi, secondo te
bisogna pigiare
il tasto due
volte o tre?
Ché qua, mica si capisce".
Io, trattreanni
mi alzerò dal tappeto
dove rotolavo
fino a quel momento
con una cosina
per niente somigliante a me
(diotiprego)
somigliantissima invece
a te, ma vestita
di verdemela,
la adagerò con cura
su un cuscino fluffoso
e verrò lì
dietro le tue spalle
proprio dove mi piacerà stare
trattreanni, all'altezza
della tua nuca
dirò: "Vediamo un po'..."
sbirciando il manuale
complicatissimo delle istruzioni
mentre mi metterò
il tuo indice e il tuo medio
all'angolo della bocca
tipo biscotto Togo
per godermi il dolce
della tua pelle.
"Cavoli!" -dirò
"mica si capisce, effettivamente".
E pigeremo a quel punto entrambi
il tasto due e tre volte
per un totale di cinque
così che l'aggeggio che ora non esiste
ma trattreanni sì
(signoramia, la tecnologia)
starà in silenzio
e basiti ci guarderemo
e guarderemo la cosina verdemela
sbavettante sul cuscino fluffoso
e ci faremo
un sacco di risate.
Trattreanni sarano treanni
che ti conoscerò.
Trattreanni meno un giorno
che spero sia domani
io ti saprò.

Monday, March 01, 2010

Come va a finire

Memorizzo l'ubicazione
degli estintori:
col dito li punto
sulla planimetria
sentimentale.
Evacuo la zona
come una maestrina
giovane e gentile
farebbe coi suoi alunni
che inciampano
nei lacci delle scarpe
sciolti come spaghetti
scotti;
lacci di scarpe
di un futuro grande
quanto un astuccio
pieno di pennarelli
da usare
su fogli i cui margini
sono complicati da rispettare:
a quell'età
cosa vuoi ti debba limitare?
Ci sono mica momenti
come questo
che passo a fare gli origami
con le strade che
mi riportano a casa di notte:
ripiegarci dentro le parole
le offese e le sconfitte
che non riscatto mai
e non mi importa mai
ché quello che conta
è quest'aria mielosa
e leggera insieme
a rendermi molli
le ginocchia ché
fatico a stare in piedi
e non dormo mai.
Così dimostro
a me stesso
-e chi altri?-
cosa sono diventato
cosa mi sono conquistato
mentre il mondo si
dimentica le mani
affondate nella terra
e io rimango con questo
cielo azzurrino timido
ancora un po'
così
per vedere
ancora una volta
come va a finire.