Saturday, November 28, 2009

Di Quella Volta Che Ho Sorvolato Gli Anni Ottanta (e altre cose)

E così quel giorno
decisi che mi sarei costruito
un apparecchio volante:
una cosa di balsa e cartoncino bristol
bianco
e un po' pure celeste,
perché il cielo bisogna ingraziarselo
ricordandoci che siamo al di sotto
a fargli capire
che lo sappiamo che
comunque vada
stiamo sotto di lui
è un fatto gravitazionale
ma pure filosofico
nel senso di massimi sistemi.
Così quel giorno
decisi di salire sull'apparecchio volante
di mia propria invenzione
e farmi una sorvolata
ché le cose si capiscono dall'alto
inizialmente
dall'alto è meglio.
C'è quella cosa della
visione d'insieme
che a noi, in quanto umani
sprovvisti di ali, piume
e molto provvisti invece
della tendenza a ridurre ai minimi termini
- ché la vita ci pare riducibile, idioti -
finisce per mancarci,
la visione d'insieme.
Allora decisi di salire sull'apparecchio volante
di mia invenzione
e dare un'occhiata
dal di sopra
(comunque sotto il cielo, sempre in ogni caso,
dettagli celesti a parte).
E sorvolavo delle cose tonde.
Come -non so- per esempio,
mi sono messo a sorvolare gli anni ottanta.
Lo so, è strano,
ma già che c'ero mi sono detto:
perché no?
E ho sorvolato gli anni ottanta
e ho intravisto una trama, una specie di disegno nascosto
per cui tutto era nato dalla scoperta
del ph neutro e dello yogurt
elementi indispensabili per il benessere
assolutamente vertiginoso
degli anni ottanta.
Aggiungerei le Big Babol all'uva e quelle fragole e panna,
ma questa è una considerazione più mia,
una cosa non di progresso ma di sentimenti
tipo amore:
noi bambinetti degli anni ottanta
abbiamo saputo in anticipo
degli odori e i sapori da cercare
dalle Big Babol panna e fragola
altri odori e sapori più difficili da capire
dalle Big Babol all'uva.
Insomma, ero lì che sorvolavo
e delle cose mi apparivano chiare
delle altre meno perché la realtà
è fatta a strati arrotolati
tipo Girella
(ormai ero nel momento anni ottanta)
e mentre l'apparecchio volante
di balsa e bristol
fluttuava con sicumera sulle cose visibili
e quelle invisibili
e quelle un po' meno visibili
butto l'occhio e che ti vedo?
Un foglietto sulla spiaggia.
Non fatevi fregare dai dettagli, datemi retta.
Non lo fate ché è pericoloso
una cosa più pericolosa di mettere
le dita nella duevventi
(vabbè, no, era un paradosso per scoraggiarvi).
Datemi retta: non lo fate.
Io invece sì,
ché delle volte sono incosciente
come un cucciolo di panda ingozzato di songino,
quindi ho condotto sapientemente
l'apparecchio volante
di mia costruzione
fino alla spiaggia dov'era il foglietto:
mi son detto che magari
c'erano scritte delle cose importanti,
qualcosa al livello del ph neutro
delle Big Babol all'uva.
Una rivelazione.
L'ho tirato fuori dalla sabbia
era grande tipo post-it
ma bianco, come il bristol bianco
e c'era scritta una cosa
con una calligrafia
che stava su un altro post-it
che mi sono ricordato di avere.
Una calligrafia che mi ha fatto sorridere.
Mi sono immaginato
che era stato scritto su una tovaglia
con la mano un po' tremolante
emozionata
-era pur sempre una rivelazione-
c'era anche un disegno
una mappa, più propriamente.
Allora io ho saputo dove dovevo andare,
ma a piedi, senza apparecchio volante.
A piedi:
ché camminare è una cosa che mi piace
e perdermi con una mappa in tasca

ancora di più.

Monday, November 02, 2009

La gente sa delle cose di me (ma anche no)

Per via che io
di solito sono riservato
che tutti mi dicono
"Oh, ma quanto sei riservato!",
ma a volte no.
Per via di questo
e di altri fattori
che analizzerò più tardi
(volendo)
la gente sa delle cose di me
ma anche no.
Sanno per esempio
che io sono gentile
ché mi danno fastidio
le persone sgarbate
fosse per me
vivremmo tutti in una specie
di mondo
in cui ci si saluta,
cortesi.
Oppure alcuni sanno
del mio talento
quasi soprannaturale
nell'arrampicarmi sugli alberi
altri no, perché son riservato
e non è che sto lì
a vantarmi
perché sono uno
con poca autostima
per un fatto di educazione
e di questioni noiose da spiegare
in questa sede
un'altra, magari
(che significa invece: no
non mi va di raccontarlo
proprio mai).
Oppure altri sanno che
io c'ho le fobie numerologiche
tipo che le cose col cinque
vanno tutte bene
quelle col quattro
sono tipo la peste
per come le fuggo
- credo di avere del sangue
nipponico nelle vene
come forse si evince pure
dal taglio degli occhi
o magari
son tutte cazzate, non so.
Un'altra cosa che certi sanno
certuni altri no
è che mi piace quando
mi chiamano per nome
non quello completo, con tutte le lettere
che son tipo dodici
- la versione corta
di cinque (visto?) -
mi piace quando mi chiamano
mi pare che esisto,
ma in un senso ampio
di riconoscimento.
Oppure certi sanno
che io faccio alcune cose di nascosto
perché il mondo mi pare
delle volte mi pare
un posto non buio, per carità
ma scuretto, questo sì
e allora io
faccio delle cose
di nascosto
piccole
tipo mettere le caramelle nelle tasche
senza farmi accorgere
ché son discreto
e son capace
e poi le persone che mi piacciono
sorridono
e il mondo è un po' meno scuro.
Meno buio no:
quello quasi mai.
Poiché quando diventa buio
-occhio-
io ve lo dico:
lì son cazzi.
La gente sa
delle cose di me
perché a volte io parlo troppo
(tutto insieme, perché
di solito no)
tipo del mio anno
che ho perso,
oppure dei mostri
lungo il corridoio,
oppure anche di quanto bene
volevo ai miei nonni,
della mia paura delle galline,
delle cose stupide
che mi emozionano,
delle cose di sesso
che mi piacciono;
altri sanno che mi dimentico
sempre, mi scordo
come se avessi cent'anni
oppure del terrore che mi piglia
quando le cose non cambiano
o quando non posso rimediare
ché spesso faccio dei casini
(ora un po' meno, ma insomma).
La gente sa delle cose di me,
ma anche no.
Per esempio non sanno,
quasi nessuno,
- anzi: direi nessuno -
come io di baciarti
non smetterei
mai.
(Ora magari lo sapranno,
ma è diverso)

Monday, September 07, 2009

Arrivate qua

Ci son cose
che certi
sanno rispondere
sbagliando un po'
più o meno
appròssimano
rasentano
la verità
piantandone un'altra
appena più in là.
Pochi eletti
-beninteso-
rispondono così
a domande difficili
tipo:
chi erano mai
questi Beatles.
Quanti frischis
ci vogliono
per ipnotizzare
il gatto di Schroedinger.
Come può uno scoglio
arginare il mare
(io lo so,
ma non ve lo dico,
eccheccazzo: troppo comodo)
e la domanda
più difficile di tutte
ché son tre
al prezzo di una:
"Quando quando quando"
(il punto interrogativo
è superfluo).
Ci son certi
che sanno rispondere
a cose come queste
se li guardi negli occhi
sul momento
fanno una smorfia
di dolore
come nei cartoni
prima della della trasformazione
del robot,
si sfogliano
dalla realtà
come una pellicola
e parlano
con un'assenza nella voce
una specie di
trance minuscola.
A questi proprio loro
io chiedo:
proteggete-mi
ché sono stanco
e non dormo.
C'ho i nodi nel cuscino
sulle spalle
sotto gli occhi.
C'ho i nodi
e li sciolgo
e si riannodano
e non dormo
e lei sorride
e mi dice che
tutto questo è solo
il futuro che arriva
e io sprimaccio
il cuscino
e richiudo i pensieri
come i giorni
del calendario
dell'Avvento
e qualcosa si perde
e qualcosa rimane
tra le dita
che -alla fine-
insospettatamente
mi si sbrogliano
niente più nodi
nelle dita
niente sbagli
come quando
fuori piove
come quando
poi sorrido
e rivolto
il mappamondo:
le finestre
i ponti
le chiglie
delle barche.
Centrifugo
col dito
imprimo
velocità
al frappè delle confusioni
e tutto va al suo posto
man mano
mi gira la testa
sarà la grandine
saranno i sì
che non dici,
ma li capisci
non so,
ma tutto
va progressivamente
al suo posto
e i piedi
si riallineano
le ginocchia mi
salutano
metto a fuoco
gli angoli
della bocca
dove, come navi,
si incagliano
tutte le verità
felici di naufragare,
arrivate qua.

Monday, August 24, 2009

Arena

Lo sfiòco di luce
avvisa della pausa.
In un'arena estiva
sbilenca come questa
neanche dei popcorn,
la Bomboniera,
una cocacola, macché:
niente.
Si sgranocchia afa
e le ultime immagini
prima del secondo tempo.
Siamo in tre
-forse- quattro
contando l'addetto al proiettore.
Fissiamo ostinati il telo bianco
impettiti dall'imbarazzo
e dalla solitudine,
dalle sedie scomode
chiese in prestito alla cena del partito.
Le ultime immagini ricapitolate
come un numero di telefono importante
(ha carta e penna? No.)
per non perdere il filo della trama.
All'interno del cortile
ci scortichiamo
le punture di zanzara,
solleviamo con perizia i veli
di abbronzatura,
anatomo patologi delle migliori giornate
di sole sbriciolate tra le dita,
memorizzate sotto i polpastrelli,
già sbiadite dalla pragmatica ottusità
degli errori che si fanno solo quando
l'autunno si annuncia e ci invade
l'illusione che far provviste
non ingolferà le macchine al mattino:
che spianerà i tremori dei primi freddi.
E a te seduta in terza fila,
che respiri forte e impaziente,
magari proporrei tutt'altro.
Direi che 'sto film è una condanna,
un malanno intermittente
una macchia di luce e ombra gettata
con poca cura contro i muri
e vorrei dirti che
c'è ben altro
anche a pochi metri da qui
ci sono scalini un po' più freschi
dove raccogliere le gambe
e scoprire le ginocchia
e poggiarsi le teste sulle spalle
come se niente fosse come se niente poi
davvero ci preoccupasse
dietro le persiane del primo piano
sui tetti dei palazzi uggiolanti umidità,
niente come sembra niente come
riusciresti a immaginare;
ma la luce si spegne con un tonfo
dell'occhio che
si riabitua al buio
il secondo tempo
le ultime immagini ancora.

Wednesday, August 19, 2009

Poesiola piccoletta

Davanti alla mia casa
c'è un porto.
Al porto io ci vado
che ancora non è giorno
attratto da un richiamo
che
più o meno fa così:
mojado en ti
mojado en ti
Al porto io ci arrivo
con tutto il necessario.
Caffé per l'esplosione
dell'alba sulle guance
e un tubo di stelle filanti
in cui ti impiglierai
felice.
Così
prima o poi
tu mi catturerai.

Nientedacapire

E non c'è niente
da capire
diceva quello lì
che è una frase
abbastanza desolante
fa un rumore
-ne avesse uno-
di pallina che rotola
giù
tra le pinne
di un flipper;
un gesto
-ne avesse uno-
di mani in tasca
pugni chiusi
(gesù, che canzone)
un gesto
di voltarsi
e camminare
coi passi
pesanti il triplo
tipo sabbie mobili
e nelle tasche
un chilo di spiccioli
(oltre ai pugni chiusi
ché fan volume).
Ora, io dico,
non c'è niente da capire:
col cazzo
te ora mi spieghi
mi dici
i perché
i percome
i forse
i chissà
mi racconti tutte
le stronzate
che ti sei raccontata
ma tutte tutte
e pure quelle
che hai raccontato a me
ché la donna
c'ha un concetto
di stronzata
assai indulgente
perché c'ha l'istinto:
io c'ho l'intuizione
invece.
"Uno pari"
si potrebbe pensare
- col cazzo
(e due).
C'è da capire
c'è sempre da capire.
Spiega
ora mi racconti tutto
ne hai di arretrati
(anni)
mi metto comodo
guarda
neanche ti interrompo
mi mordo la lingua
mi torturo
le punte delle dita
mi gratto la testa
parla e spiega.
Sono uno
che se gli spieghi
poi si sente meglio
poi non conti più
diventi una cosa
minore.
Un sufflè che si sgonfia.
Un post-it che
si scolla.
Anzi guarda
-appunto-
ci ho ripensato:
facciamo che
basta.
No, sul serio
lascia stare
non è vero
che non c'è niente
da capire,
ma lascia stare
è uguale
cioè non è uguale,
ma non importa
più.

Wednesday, August 12, 2009

Push Player Two

Son problemi.
Il nemico dell'ultimo
quadro
richiede una sequenza di mosse
che non ricordo
e
non riesco neanche
ad avere incubi convincenti:
li smaschero
come fossero
bambini insistenti
la notte di Halloween
gli do un dolcetto
e sorridendo
li lascio al
prossimo campanello.
Niente scherzetto
niente scherzi
mani in vista
poggia le armi
e falle scivolare
lungo il pavimento
bravo, così
ora girati
e cammina
molto lentamente
fottutissimo nemico
dell'ultimo quadro
dammi tutte le monete
pure i bonus
bravo
con calma
aprimi il livello segreto
e lasciami lì
coi superpoteri
l'invulnerabilità
e tutto il resto.

Push player two
if you want
to join.

(darlin')

Una a Una

faccio la conta
delle luci
lasciate accese
le spengo
una
a
una
rabbuio
spuntando
insieme
le parole
scurisco
enigmisticamente
le lettere
con la penna
poi
scompaiono
anche le frasi
una
a
una
ti sto
evitando tutto
persino
ciò che è
evidente
scarnifico
insenature
e lascio
che il mare
ne prenda
il posto
per farti
fuggire
sicura
nottetempo
sicura
col favore
delle luci che spengo
una
a
una
finché
non resta
uno sciabordio
che oscilla
insieme
alla mia mano
che oscilla

Sunday, August 09, 2009

Homeblues

A casa tornerò
(oh-oh)
in tempo per
la replica
straordinaria
del tuo
sensuale
casalingo
ondeggiare
che arrotonda
(ah-ah)
gli spigoli
di ogni mobile
al solo
lambirli
(ih-ih)
la lista
disegnata
della spesa,
il caos
lungimirante
dei miei sbagli
diventati ormai
tema principale
argomento fondamentale
(eh-eh)
di tutte le nostre
risate a squarciagola;
e tremano i quadri
farneticano
le lancette
il tempo sarà un fremito
di cui riportare
le oscillazioni:
il canto del cigno
di tutte le preoccupazioni.
E quando mi vedrai
penzolare
dall'oleandro
al baobab
mi dirai
le mani sui fianchi
i fianchi che
arrotondano gli spigoli
mi dirai
fingendoti spazientita
- vieni giù!
e io
(uh-uh)
- Evvieni a prendermi tu.


(uh-uh)

Proporzioni

Son bravo
a misurarmi
allungato
da uno specchio
stazzonato
dall'estate
che trasuda
dai muri delle
mille case
di cui
disegno i corridoi.
Son bravo a
fare
i pensieri prospettici
che ti mettono
al sicuro
eppure mi tengono
all'oscuro
Per dire:
isometricamente
parlando
tu sei uguale,
per questo
non c'è
punto di fuga che tenga
non c'è
giustificazione
ottica
che assecondi
il volume
dei miei 'no'.
E un po' così
un po' qui un po' lì
l'estate si asciuga
sulla schiena;
a riva il cadavere
di tutte le urla
inghiottite
in reverse,
in alto il coraggio
mancato
appeso a un -mio- sorriso
cretino
che fa confusione
tintinnando
insieme agli spicci
nel taschino.

Monday, August 03, 2009

Interferenza

Malinconia torrenziale
aspettando
dietro il vetro
della finestra
il prossimo decollo
la pista vuota
la torre di controllo
produce
interferenze
scariche di
nostalgia
acuta
e
stridente
Le mani
illustrano
il concetto
poggiandosi
pudiche contro
il mobile
Raddoppiano
gli assalti
al tuo bel viso
inviano i
rinforzi
e l'accerchiamento
è completo
ma intanto
il disturbo
che mi son preso
è finito
e come un'interferenza
rettificata
mi sintonizzo
sul prossimo decollo
sgombro il campo
sgocciola
la malinconia
torrenziale
e non rimane niente
se non
un debole odore
assorbito dal mio.

Saturday, August 01, 2009

Cartografia2

E non portarmi
a casa
voglio arrivare alla sera
col sudore
che scurisce
i capelli sulle tempie
che surriscalda
ogni singolo
grano di ghiaia.

Disseminami
di indizi
su come
smettere
di mancare
ogni appuntamento
ogni riferimento.
Altera
i tracciati
salta sul posto
e amplifica
il segnale
ché io mi svegli
ché io mi avvicini
confuso di letto
a quello che trema.

Seguimi
per i corridoi
nelle pause
agli Autogrill
riempimi le braccia
di pacchi di biscotti
i Tuc
le caramelle
i settimanali
facciamo una scorta
da gettare sui
sedili posteriori
Quanto manca?
quanto manca.
Quanto. Manca.
Mi guarderai ancora
(mi guarderesti ancora)
così
mentre guido
quando avremo mille anni
e le automobili
si guideranno da sé
e noi non ci rimarrà
altro
che farci spettinare
fuori dal finestrino
a centodieci (più o meno)
in autostrada?
Mi guarderai (mi guarderesti)
ancora così?
Ché quando mi guardi
io mi sento
perso ma con la cartina,
la mappa:
perso ma
con cognizione di causa.

Oh capitan'
c'è un uomo in mezzo al mare
Oh capitan'
venitelo a salvare
hallo, hallo, sì sì vi spiegherò
datemi ascolto per favor.


Tuesday, July 28, 2009

Affondalaflotta

F7
Niente
L5
Acqua
B2
Ancora nulla
D3
col cavolo
- Bari.
Non c'è. Di' una che
c'è.
- No, bari proprio
non è possibile.
Guarda che
se io voglio,
chiedi in giro
vai per tornei
di Battaglia Navale,
se io voglio
te non mi trovi
più.
H9
Vedi?
Niente.
- Non è possibile.
E ti dico di sì.
- Le hai messe
in diagonale.
No, no.
F8
Ah ecco
ora ripassi accanto
e ripassa
pure
non è che
mi metto
un passo
più in là
io proprio
sfuggo pure ai sonar
c'ho l'antisonar
il Metox
hai voglia
mi puoi pure
mandare i delfini
niente
tornano
con un cestino
di pescetti
e l'aria
da collaborazionisti.
Niente.
- Non è possibile
E tu prova
C10
Vedi?
Sai
se io non voglio
più
quando mi becchi?
L'anno del mai e
il giorno del poi.

Dalla sera alla mattina

Ché a me
le poesie
della notte
mi vengono
la mattina.
E' una cosa strana
mi rendo conto
una cosa che
mi ci vogliono
tre caffè
per ribaltare le prime
parole del giorno
farle stare
in piedi da sé.
Così mi sveglio
che mi sento
già un po' in ritardo
recupererò
scantonando
lungo il corridoio.
E quando mi osservo
mi faccio
i complimenti
per aver resistito
al massacro
della lista
di quel che mi manca
addensata come nebbia
all'altezza delle ginocchia.
Un paio di smorfie
l'occhio che indaga
clinico
"lo stiamo perdendo"
mi dice ridendo lo specchio
e io gli rispondo
"Buonanotte al secchio".

Friday, July 24, 2009

Stai

Le braccia lungo
il corpo
il corpo
lungo.
Lungo
il fiume
le gambe
ferme
parallele:
stai composto
stai pronto
stai calmo
stai.
Le mani lungo
i fianchi
le dita lunghe
tra le
dita
lungo
il pozzo
dei pensieri.
Sopra il tavolo
sotto il tavolo:
se ci sei
batti un colpo
dove vai
quando arrivi
fai uno squillo
ché ti senta
ché lo sappia
poi mi scordi.
Le braccia lungo
il corpo
che non hai
le gambe
a guado
lungo il fiume
sponda
a sponda
le dita
chiuse a ciotola:
il pozzo dei pensieri.
Sopra il cielo
sotto il cielo
batti un colpo
spiazza il tempo
quando arrivi
fa' uno squillo
ché io sappia
che sarai
solo un suono
che si è perso
batti un colpo
e poi niente.
Stai composto.
Stai pronto.
Stai.
Stai composto
Stai pronto.
Stai.

Thursday, July 23, 2009

L'ultima mano (con la rivincita)

Sparecchio.
Le briciole che mi fanno
il palmo della mano
a grattugia.
S'è a quel punto
in cui
pure un bicchierino
d'amaro
è lo stargate
della filosofia spicciola.
E le sigarette
paiono accendersi al ralenti
come nei films
quelli vecchi
ché si fumava in un altro modo
tipo Marcello:
la prima come dopo una stecca intera.
O tipo Gian Maria,
come fosse una firma
da mettere senza perder tempo
ma con lo svolazzo
finale.
Insomma
siamo al dopocena
e nessuno parla
nonostante l'amaro
ognuno s'è incastrato
in certi pensieracci scomodi
peggio delle sedie
che c'ho in cucina
e a me
mi fa un po' tenerezza
e un po' dispiacere
che siamo tutti così
incartati all'ultima mano.
Pure se poi
ci si concede la rivincita
e poi 'la bella'
mi dispiace:
mi fa malinconia.
Allora piglio un foglio
ci scrivo una cosa su
un paio di parole
e poi lo passo
in senso orario
lo faccio girare
il foglio e una penna
e ognuno si
stropiccia la
parte bassa della fronte
qualcuno
si mette composto
come a scuola,
concentrato,
roba di secondi
però concentràti.
Il foglio torna a me
e ci faccio una palla
accartocciandolo
lo presso per benino
aerodinamico
spalanco la finestra
e lo tiro di sotto
in un silenzioso
applauso di accomodamenti
sulle sedie
e mani che lisciano
i pantaloni.
"Oh, 'sto amaro
comunque
a berlo
pare che
ti ingoi i rimorsi
del diavolo
pare."
Mi dicono.

Monday, July 20, 2009

Chi semina brezza

Chi semina vento
raccoglie tempesta
chi semina brezza
raccoglie aquiloni
e il tempo
gli soffoca i polsi
a furia di indovinare
i corridoi delle correnti:
di far danzare in aria
i buoni propositi
gonfi d'aria giocosa
e di speranze
asciugate tra i denti.
Chi va con lo zoppo
inclina lo sguardo
e la prospettiva, poi
è solo un ricordo
di quando lasciarsi
osservare
era un modo
di farsi trovare
all'incrocio di tutte
le strade
di tutte le attese
di tutte le cose
che smettevano di traballare.
Uno spessore
sotto la lingua
come sotto
al tavolo da pareggiare
le parole che salgono
fino agli occhi
e poi più su
girano in circolo
fuori controllo
scantonano
caracollano
e tornano
a posarsi calme
sulla lingua
per dire:
niente.
Che mai vuoi dire
davanti a un aquilone
che scompare
davanti a
un desiderio che
appare?

Tuesday, July 14, 2009

Un po' meglio di così

Mi chiederai
proprio quando avrò
decodificato
la progressione
geometrica
del tuo vestito
a quadri
rossi
mi chiederai
del perché
in certi punti
smetto di camminare
mi chiederai
"Che succede?"
e io sentirò le parole
risucchiate
come dall'interno
del desiderio
e mi servirà un attimo
per risponderti
infatti ti dirò:
"Scusa, mi serve un
attimo".
Pure questo imparerai:
io mi scuso sempre
è un fatto di grazia
nello stare al mondo.
Mi dirai:
"Occhei, fai pure".
Io rimetterò insieme
le cose
dietro agli occhi
e me le sistemerò
sulle spalle
e allora ti spiegherò.
E poi mi chiederai
delle lacrime
controvento
e io ti dirò:
è l'unico pianto
che mi riesce
di tollerare con
dignità
ché i maschietti
non piangono mai
e se ti hanno detto
il contrario
miacara
ti hanno rifilato una cazzata
-sonòra, se mi permetti.
Poi mi chiederai
che cosa ho fatto
tutto questo tempo
e io non troverò
di meglio che
annusarti il collo
e dirti:
"Scusami, sai,
io faccio delle cose
ogni tanto
che non capisco
'manco io bene
perché
ma mi sembrano utili
ai fini -diciamo-
di una specie
di compensazione
tipo sott'acqua
ché mi pare
di dover decomprimere
altrimenti
mi gioco i polmoni
mi gioco.
E poi mi chiederai
un sacco di cose
e alla fine
stremata
-giustamente-
dalla mia
logorroica
maniacale
riservatezza
ti farai una risata
che sarà
come tu stessi unendo
i quadretti
rossi
del vestito
rosso
con la bic
e mi dirai:
"Senti, sei strano
ma proprio un sacco"
e io
"Eh."
"Ma c'è una cosa
che non capisco
-mi dirai-
perché sei qui?"
Eh.
Ti dirò.
Hai presente quando
torni tardi
e sei a dieci, nove
otto, sette...
vabè, insomma:
stai per arrivare
al cancello
magari c'hai già
le chiavi in mano
e tutto quello che
vuoi
è tornare
a casa.
Tornare per poi
uscire,
ma dopo
con calma.
"Eh."
mi dirai.
Per questo
sono qui.
Ti dirò.
Per quello,
credo.
Poi
Ti dirò.
Magari un po' meglio
di così
ti dirò.

Wednesday, July 08, 2009

Subliminale

Tutta quella storia
dei messaggi subliminali
io l'ho capita
a metà.
Mica la devi capire
del tutto
-mi si obietterà-
altrimenti
non sarebbe
subliminale.
Effettivamente.

E' una questione di
non poter troppo
bene scegliere cosa
recepire.
O quando.
Fino a un certo punto.
Io lo dico spesso
"Fino a un certo punto".
Non è che la butto
sul vago
è proprio che
mi devo mettere
in difficoltà
altrimenti è
-spesso-
troppo facile.
"Tu la fai facile"
"Sì ma
fino a un certo punto".
Dovessi trovare
un modo per spiegare
direi di quando
mettevo il mio Sanyo
davanti alla tivù
per registrare
le canzoncine da
Videomiusic.
Una volta
lei mi aveva chiesto
"Save a prayer"
e io
avevo aspettato
un pomeriggio
intero
per beccarla
pronto
Rec+Play
in pausa
tolgo la pausa
quando vedo Andy Taylor
finisce il pezzo
e poi riascolto
e dentro
ci sono delle altre voci
arrivate chissà
da dove
una continua a ripetere
"Non avevo capito
non avevo capito
non avevo capito"
l'altra sta in silenzio
(lo capisco perché
si sente "Save a prayer"
nelle pause)
Poi interrompe
Save it 'til the morning after..
e dice
"Non me lo hai chiesto"
Che c'entra subliminale?
C'entra perché
io te l'ho chiesto dopo
come m'avessero
spinto un bottone
nel retrocervello
e non ho capito.
Non subito,
almeno.

Effettivamente
'sta cosa del
subliminale
funziona.

Thursday, July 02, 2009

Quello che sparecchia le bufere

Gira che
ti rigira
si finisce al porto
con le ondine
a riva che fanno
a pingpong
contro il chiacchiericcio
della sera ancora
borbottante
usano il muro
della Fortezza
come campo
le parole con l'effetto
le respinte col risciacquo.
E noi
gira che ti rigira
si finisce lì
in mezzo
sconocchiati
su delle sèggiole
che sgàmbano peggio
delle vecchie signore
ma ci tengono
ché siam uomini
leggeri
noi:
siam uomini forti
e leggeri.
C'è un birrino
che ristagna
a bordotavolo
una cicca
che risplende
"qualcuno s'è baciato
prima di alzarsi"
- dice convinto
Frusto
ché di queste cose
ne capisce.
Lui
fa il tappezziere
e sui foderi
delle poltrone
e dei divani
"sapeste quanto si legge,
sapeste" -dice Frusto.
Noi annuiamo
come un sol uomo
una coreografia
di annuimenti
meglio che il video
dei Daft Punk.
Ci sono i ragazzi
che portano i vassoi
ai tavoli
una s'avvicina
"Che prendete?"
ci fa.
Io vorrei dire
"Quell'angolino di mare
liggiù, quello
prendo.
Senza neanche il
limone.
Si può?"
Non si può
lo so da me
allora dico: "Beh, c'è mica del
chinotto?"
"Certo che c'è"
Fa un po' il paio
col colore del mare
a quest'ora
lo piglio per questo.
E credo di pensarlo
e invece glielo dico
a voce alta ma non troppo
ché a me mica mi piace
di urlare.
E allora gli altri
ridono
e rido un po' pur'io.
E ride pure lei
(tiè!)
e tutti poi s'acquietano
perché, insomma,
il momento è solenne.
S'arrossa, lei.
Finisce il giro delle
ordinazioni
e riparte lisciandosi
il grembiule
con una mano
(con l'altra tiene il
vassoietto e non può).
Nessuno dà di gomito
mi sanno:
son riservato.
Piuttosto qualcuno
intona un verso
che fa:
"e nella strada con la bocca piena
mentre ti penso ancora
come alla marmellata"*
e a me mi si
scioglie tutto dietro agli occhi
un catafascio
di bauli
e ciminiere che
spruzzano acqua
fino a riva
fin sotto al tavolo.
Intanto
per fortuna
subentra un risolino
"Per chi era il chinotto?"
E Frusto:
"E' per quel fesso lì:
quello che sparecchia le bufere"
E si ride.
Ancora.


* da "La marmellata" di Roberto 'Bobo' Rondelli


[A lei, alla poesia e a Livorno]

Monday, June 29, 2009

Filibustieri

Avanti
miei prodi
avanti
lancia in resta
barba crespa
uncini alla mano
avanti
ché ci son barche
da assaltare
notti da
sterminare
isole da battezzare.
Avanti, avanti.
Ci son mappe
da setacciare
budella da sforacchiare
pance piene come tasche
da svuotare.
Avanti miei prodi
avanti
per questo sciroppo
di salsedine
denso
e pesto.
Avanti tutta
scamiciate le vele
scontornate
le angosce
Avanti! Avanti!
Non c'è rotta che
tenga
non c'è.
Siamo esuli e
distanti
dalle case
che non abbiamo mai abitato
dagli spergiuri
che non abbiamo mai
proclamato.
Avanti
miei disgustosi
riottosi compagni
buoni d'animo
solo con la luna
covata nelle guance delle
donne tatuate
sui nostri migliori
sorrisi.
Avanti, avanti
siamo ispidi e gentili
come damerini di sabbia
e sale,
come bellimbusti
di garza e pane
macerati nel legno
asciugati al fumo
dei fuochi fatui
avanti miei scalcinati
compagni,
avanti
raminghi e contenti,
avanti ché c'è solo
da andare avanti
nel mare.

Monday, June 22, 2009

Piglio i cornetti

Notte notte
di cartapesta
notte di belle
speranze
inanellate
notte di promesse
sbriciolate
notte notte
di vattelapesca.

Notte notte
tu dormi e
dormo anch'io
e dormono tutti
e invece passerei
sotto tutte le
finestre
specialmente una
a tirar sassi piccini
contro i vetri
"Scendi!"
sussurrerei forte
"Ma lo sai che ore sono?"
"No,
non ci faccio più caso"
"E' tardi"
"Lo sospettavo"

Allora me ne andrei
coi gatti
insonni
a passeggiare
tutti insieme
raccontarci delle storie
farsi venire
il torcicollo
a furia di
contare stelle
(nel campo visivo
dell'occhio umano
ce ne stanno circa
cinquemila, ho letto.
In quello dei gatti
non so.)
cose così
che si fanno la notte
quando è troppo tardi
quando è troppo tardi
in generale;
allora mi squillerebbe
il cellulare
ché io non lo spengo
mai
ché c'ho sempre
il terrore
che succede qualcosa
e io non sono
raggiungibile
(eroe di 'stocazzo)
e insomma
squillerebbe
e lei direbbe:
visto che sei
in giro
ed è quasi l'alba
ti va un caffé?
Piglio i cornetti
direi.
Piglio i cornetti
ché io i bar insonni
li fiuto peggio
dei guai
piglio i cornetti
le direi
e sono da te.

Sunday, June 21, 2009

Così

Scalcio e riscalcio
e alle setteventisette
mi trovo le lenzuola
arrotolate
a caramella
tra i polpacci
Scalcio e ti ricaccio
eppure mi sbaglio
e annaspo
mi aggrappo al cuscino
passasse qualcuno
farei il morto a galla
ci fosse il guardiano
del faro
mi inviterei a cena:
ché è meglio spazzare
la luce sull'acqua
che fare il relitto
natante in balia.
E tutto il passato
che cosa mai dice
di quello che abbiamo?
Cazzate, scerì
bugie da osteria
sapori sciapiti
e tagli di carta
su mani asciugate
sempre più lunghe
sempre più
- niente,
magari non lo scrivo
ché è meglio così.

Saturday, June 20, 2009

Anse

Che scivolo
per questa strada
di collina:
mi scivolo in salita.
Come si fa?
Me lo stavo chiedendo
anche io,
in effetti.
Come si fa
a scivolarsi
in salita?
Boh.
Però è così:
mi riesce.
A me mi riescono
cose strane
(ultimamente di più).
Comunque.
Mi scivolo
in salita
per questa strada
di collina
ci ho
un appuntamento
ma di quelli
che se tardi pure
chessò
dieci, quindici minuti
nessuno si scompone;
il tempo si scompone
quello sì,
ma andiamo oltre.
Dicevo.
C'ho un appuntamento
una questione di
focaccine, caffé,
latte (altadigeribilità
ché son intollerante
ormai quasi solo
al lattosio
al resto mi adatto,
capisco:
il lattosio
hai voglia a capirlo
mi spacca
lo stomaco comunque:
tipo quando
non dai un bacio
ché invece avresti dovuto).
C'ho un appuntamento
che è una questione
di colazione
-avrai capito-
e risalgo
scivolando
una strada
di collina.
C'è Carlo che mi fa
-urlando sommesso
come solo i contadini
sanno-
mi fa:
"Ohé, passi dopo
ché c'ho le uova?"
Io vorrei dirgli
"Certo, grazie!"
poi penso che le uova
se in discesa poi
non scivolo altrettanto
a casa non ci arrivano mica.
Gli fò un cenno, allora,
che più o meno significa:
"Passo, sì, ma le uova non so".
Si fanno dei cenni
in campagna -sapessi-
delle robe complicate
tipo ombre cinesi.
Vabè.
Scivolo in salita
e alla penultima ansa di collina
(ché qui la collina è come il mare
essendo che è vicino, quindi c'ha
le anse pure lei -loro: le colline)
io vedo camicie
e tende
che sbandierano
e mi vien voglia
di passarci in mezzo
sbucare d'improvviso
e trovarti alla finestra
che fai finta
di spaventarti
e invece
m'avevi visto.
Già.

Tuesday, June 16, 2009

Kaboom

kaboom.
Franano i ponti
sportellano le automobili
sbarellano le altalene.
Kaboom.
C'è in giro
un dinamitardo
che piazza cariche
lunghe come minuti
sotto le panchine
sotto le mani
nelle stive
del coraggio che salpa
staccando un pezzo
di terraferma.
Kaboom.
Detonano
al primo sole che scalda
esplodono
con un puzzo di gomma
di palloni
il resto sono oggetti
sparpagliati
brandelli di risate
e di dita.
Kaboom.
E tutto questo mio
inutile coraggio
sempre e ancora
fuori tempo massimo.
Kaboom.

Monday, June 15, 2009

Cartografia

Brevi zuffe di gatti
sotto la finestra
o cereali
che crèpitano
nel latte
così direi che suonano
certi ingranaggi
-assopiti
si stiracchiano-
di noi due.
Ma io conosco
(e tu indovini
-ancora prima)
la cartografia
sulle lenzuola,
il rincorrersi
degli sguardi
lungo le balaustre:
appesi a un panorama
i vicoli in gola
le mani che lisciano
e chiamano.
La sola arte
che so
è il ritmo
di quello che cambia.
E allora
in discesa
il respiro che rallenta
mi pare di poter
inghiottire
tutto il mondo
con quel 'sì'
che ancora crèpita
che domani
è qui.

Thursday, June 11, 2009

Volt

E tutta
questa elettricità
che sfrigola e
si surriscalda
sotto il sole di giugno
che avviluppa
gli avambracci
spettina i capelli
accende mototurbine
scintilla forni
elettrici -appunto
zampilla nei led
reòstata stanze
d'albergo
nei paesi ancora
intrappolati
dalle fascinazioni;
di tutta
questa elettricità
che scarica
sotto gli androni
schioccando
i neon
che frigge
nei gruppi elettrogeni
affumicati dai camion
delle fami
notturne
che friccica
sotto la lingua
poggiata
sulle batterie
per testarne la carica
in modo approssimativo
(non so se avete
mai provato:
a me piace)
di tutta questa elettricità
piezometrica
delle notti sotto
ai portoni
a far tardi
dietro ai calcagni
di una risposta
-domani, a mente lucida-
di tutta questa
elettricità
dei circuiti integrati
degli amplificatori valvolari
che smòttano
le frequenze
dei transistor
in modulazione di frequenza
degli oscilloscopi
dalla frequenza
sensuale
di tutta questa elettricità
che svirgola
rapida
che làmpa
come un flipper
in questa notte
sforacchiata
dai dubbi
io
di tutta questa
elettricità
ne faccio
un bracciale
disco di rame
luminescente
e te lo dono:
dovesse
mancare la corrente.

Tuesday, June 09, 2009

Io Quando Ti Svegli

Io quando ti svegli
mi pare che devo recuperare
del tempo.
Mi pare che
ci sono delle cose
che non ho fatto.
Cioè sì,
ma di meno.
Tipo
ho comprato
mezzo litro di latte
invece che uno e mezzo.
Mezzo del mio
mezzo del tuo.
Invece che uno e mezzo.
O uno-mezzo-mezzo.
Io quando ti svegli
mi pare che la banda è in ritardo
e io dico
cavolo doveva essere già qui
- che poi te
mi fucileresti
se ci fosse una banda
suonante
quando ti svegli
(a me, ti dirò,
piacerebbe
ma sono megalomane)
Io quando ti svegli
mi assicuro che tu
trovi il punto
di atterraggio
perché dai sogni
si precipita all'insù
ma non ci sono i riferimenti
spaziali
quindi sembra all'ingiù
come normalmente.
Allora mi assicuro
di essere pronto
tipo acrobata del circo dei circhi
che t'acchiappa al volo.
Io quando ti svegli poi
ti dico
ciao
e tu
ciao
a me.

Sunday, June 07, 2009

Metrica

Il tuo bacio è come un rock
Il mio bacio è come un twist
No, aspetta
facciamo cambio.
Il mio bacio è come un rock
il tuo bacio è come un twist.
Sicuro?
Sicuro.
Non è che poi ci ripensi?
Poco probabile.
Tu rock, io twist.
Siamo d'accordo, allora?
...
Ecco, lo sapevo.
No, no
va bene:
il mio bacio è come un rock
il tuo bacio è come un twist
ché poi, caramia,
'sta cosa del twist
ultimamente
ti s'addice non poco.
Sei tu quello che odia
i quattroquarti
pure per via del numero, no?
Sei tu quello che
gli piacciono le cose in levare
no?
E allora
mi ripiglio il twist
Troppo tardi:
hai scelto.
Ma posso ancora
cambiare ballo
del tutto.
Chessò:
il mio bacio è come un fox-trot
il tuo bacio è -ancora- come un twist
Va un po' male
di metrica.
Vabbè,
ma io scrivo le poesie
a cavolo
come le lettere
- ché non son mai stato
capace.
Sicuro, allora?
Fox-trot?
...
Ci risiamo.
No, vedi,
è che il tuo sicuro è come un twist
"E' assai facile al knock-out,
che ti fulmina sul ring."
Ma quello è il rock..
A me il rock non mi piace mica
E allora perché
te lo sei scelto?
Per la canzone
per la metrica.
Occhei. Rifacciamo.
Il mio bacio è come un twist.
E fin qua.
Il tuo?
C'ha lo swing.
Sicuro?
Se non lo sai te...
Effettivamente.
Il mio bacio c'ha lo swing
il tuo bacio è come un twist.
Ci sta. Pure come metrica.
Andata?
Andata.
Ah, no. Un'ultima cosa.
...oddio...che c'è?

Fa l'effetto di uno choc,
e perciò canto così:
Oh-oh-oh-oh-oh-oh-oh



Friday, June 05, 2009

Frontiera

Qualcosa da dichiarare?
mi chiede
al varco del finestrino
ci fossero due calzini stesi
sarebbe da affacciarsi
"un attimo che ritiro
i panni".

Invece dico
le cose da dire,
tre cose -dichiaro:
mi piacciono gli alberi
le punte delle dita
i modi gentili.

Il tizio annuisce
si liscia la divisa
e scrive.
Io guardo se per caso
non son caduti giù
dei calzini
ché poi mi tocca scendere.

Qualcosa da tacere?
mi chiede.
Che cacchio di domanda
-penso
se sono da tacere,
perché le dovrei dire?
Ma questi sono strani
dovessero arrabbiarsi
rispondo
ché qua non si sa mai.

Rispondo.
Il prezzo del dolore
il mistero prima di un 'sì'
i lati 'b' dei quarantacinque giri.
Eh?
Eh.
Non so se ha presente,
che spesso son più belli
e li ricordano in pochi:
è come un segreto
tra intimi
e certi segreti
son cose da tacere
perlopiù.

La penna oscilla
insieme alla testa
un ampio respiro burocratico
e:
Ne mancano tre
tre cose da dimenticare.
Quando si passa una frontiera
c'è sempre qualcosa da lasciar andare.
Sarei tentato
di aprire il portabagagli
e dire:
faccia lei
prenda un po' quello che le pare
ché io se devo dirla tutta
non son mica tanto capace
di dimenticare.
E se poi quello
sceglie di buttare
chessò
qualcosa che mi può
tornare utile?
No grazie,
faccio da me.

Allora.
Il prezzo del dolore...
L'ha già detto, non vale.
Volevo vedere se stava attento.
Ricominci, piuttosto
invece di fare il furbo.
Ci penso.
Propongo.
Ma se invece di dimenticare
mi tenessi il ricordo
senza starlo troppo
inutilmente
a rivangare?
Ci pensa.
Si guarda attorno.
Si può fare.

Che faccio, vado?
Vada.
Scusi...
Ci son mica dei calzini
giù sotto?
Circolare.


(grazie a C. per l'idea)

Swosh

Io me lo ricordo
quell'inverno duemilacinque:
un cazzo di freddo
mi ricordo.
Lo so
non è elegante
ma rende l'idea.
Neve sotto i portici
c'avevo delle scarpe
inconsistenti
un parka zuppo
un cazzo di freddo
(scusa)
poi mi ricordo
che a un certo punto
swosh
s'è fermato tutto
le macchine
le bici
le gonne
le borse
le frange delle sciarpe
il suono dei semafori
per non-vedenti
le porte
a scorrimento
di Melbucstor
le tazzine fumanti
nei bar
mi son voltato
t'avevo sottobraccio
mi sei sembrata eterna
(che poi mica lo eri
ma si capisce dopo)
attorno tutto fermo.
I fogli degli annunci
la musica nelle cuffie
gli scuter
le dita delle mani
nei guanti,
nei cappotti
(a loro volta)
le cose nelle buste della spesa
e un tizio
esasperato
m'ha detto
un poco dopo:
"Dura ancora molto
'st'epifania?
No, perché
-avrai sentito-
fa un cazzo di freddo"
(scusa)

Thursday, June 04, 2009

Navigazione

Tecnicamente
è un fatto di riflessi:
la luna nel pozzo
il cielo in una stanza
il mare nel cassetto
occhi di ragazza
(in un certo senso).
E' un'illusione ottica
svapora tra le mani
sta tutta in uno sguardo
che include a intermittenza.

Allora penso
a quando
(la ghiaia scoppiettante
sotto i piedi)
varavo barche
di plastica e nylon
nel cerchio di fontane,
sul fondo pesci anemici
attorno passeggini.
Quell'acqua senza rotte
aveva la pretesa
di oceani dal bordo circolare
la terra era una sfera
che poteva tracimare.

Andavo
in tondo fino a un punto
e lì c'era il mio porto
dove il riflesso
di un ritorno
per quanto grande il mare
avrebbe potuto
alla fine
attraccare.

Friday, May 29, 2009

...e non c'è inganno

C'è il trucco -penso.
Come quei racconti zen
che a un certo punto
ti gira la testa
e ti ritrovi al punto
di partenza,
con gli occhi che scappano ovunque
e le braccia che formicolano.
C'è il trucco -mi dico
e non l'ho ancora capito;
c'è il passaggio segreto
il doppio fondo
la botola nascosta
il pannello mimetizzato
la libreria girevole
rimetta-a-posto-la-candela.


C'è il trucco
io penso che c'è il trucco
e non l'ho ancora capito.
Mi sforzo e mi spremo
ce la posso fare.
Cavoli.
Alla fine capisco tutto, io
pur non capendo niente:
è una mia prerogativa.
(l'Altissimo distribuisce
i doni dell'ingegno
secondo una sua personalissima
idea di cabaret)
Ad ogni modo.

C'è il trucco -mi ripeto.
Deve esserci
e io -sicuro- non lo vedo
perché mi distrae l'assistente
cerimoniosa
sorridente
con le cosce piene
lucenti nei collant.
Cretino.
Guarda le mani.

E insomma poi
in platea
dove sforzo gli occhi così tanto
che vedo le lucciole,
a un certo punto
mi mordo le labbra
mi acchiappo anche un pezzetto di lingua
Cretino,
-e due-
guarda le mani.
Le tue.

Thursday, May 28, 2009

Nostoi

Grattugio i polpastrelli
sul muro
ché mi piace il dolore leggero
disturba quello che penso
e tiene lontano
quello che spero.

Certe volte mi traduco
a mente
in quel poco di lingue che so:
ci prendo le distanze
dalle opinioni.
Mi pare di potermi permettere
il lusso di:

- Non farci colazione
- Schivarle davanti allo specchio
- Sfilarmele come maglie
troppo strette
o
- Abitudini incagliate.
- Barche rivoltate.
A riva.

Così poi si è fatta l'ora
del silenzio siderale
che risucchia i passi
e le mani nelle tasche
e mentre sono in macchina
che inforco semafori
e stazioni radio
tremolanti
mi sento come quei pensieri che
a casa ci tornano da sé.

Wednesday, May 27, 2009

Scommessa

Al mattino
tu t'accorgi
che non sono proprio uguale
non da subito
-almeno-
perché dopo,
lentamente,
mi riapproprio
di me stesso.

E' per via
di una scommessa
fatta molto tempo fa
una sera in cui sul cielo
proiettavano in reverse
tutti i miei futuri sbagli:
ho puntato quello che
avrei dato per scontato
e l'ho perso,
proprio mentre Mastroianni
camminava stanco incontro
alla macchina da presa.

E' per questo che al mattino
io ti sembro un po' diverso
solo un paio di minuti
quando sono appena sveglio.

E' che ho perso una scommessa
e mi devo ritrovare;
è che inizia un giorno nuovo
e mi devo assomigliare.

Monday, May 25, 2009

Una nuova, brutta abitudine

Ho preso
questa nuova brutta abitudine
che infilo le cose
nelle tasche
altrui.
Ce le metto di nascosto
con un gesto
da prestigiatore,
elegante e furtivo
in una parola: paraculo.
Ho preso
questa brutta abitudine
che poi certi
dopo giorni
magari mi chiedono
"Oh, mi sono ritrovato in tasca
questo. Ma è tuo?"
e io svicolo
facendo spallucce
ridendo sotto i baffi.
Contento.

Ci metto di tutto
nei limiti
per via della capienza
se becco uno zaino o una borsa
ne metto di più grandi
o tante più piccole.
Mi piace immaginare
il disorientamento
come davanti a un furto
involontario
(col dubbio
di averlo invece
voluto.
La cleptomania
è roba di un secondo)
e poi lo sforzo
di risalire.
E poi quello di
capire il perché.
Perché? Perché? Perché?
Perché due non fa tre!
(m'è sempre piaciuta)

Allora a quel punto
m'immagino
che sbuco dietro l'angolo
di un muro o di un caffé
e dico:
perché so delle cose di te.
Oppure, se mi scoccio:
perché due non fa tre.

Click

Click può essere scatto
di otturatore
di interruttore.
Click invece
per me è
quando ti incastri.
Tipo i Lego
precisiperfetticlick
E ci sono le protuberanze,
i vuoti
e tutto si incastra si riempie
click.
Io da piccolo mi ricordo
una volta ho dato
da mangiare al mio
Uforobot
l'omogeneizzato
perché mi pareva che
non era abbastanza forte
che gli ci voleva
un aiuto
e un po' pure a me.
(Tu guarda che intuito della madonna
c'avevo già a tre anni)
Di lui -Uforobot-
solo la testa faceva click
e a me mi bastava:
click.
Ora che conosco gli altri click
che le cose possono fare
la testa mi pare poco.
Mi pare relativo.
Pure un mattoncino Lego
mi pare relativo
tutto così,
colorato ma binario.
Invece.
Ci sono i click degli odori,
dei sapori,
i click dei ripetitori
quelli invisibili
che abbiamo impiantati un po'dietro
le orecchie.
E poi i click più importanti
quelli che fanno l'inizio delle braccia
a contatto:
click.
E sei forte abbastanza.
Pure senza omogeneizzati.

Sunday, May 24, 2009

Che c'è scritto

come certi fogli io
m'accartoccio
anche senza mani
ma non
"guarda, mamma! Senza mani!", no.
Io m'accartoccio da solo
anche senza mani
come certi fogli
che poi cerchi di far centro
nel cestino.
Apro parentesi:
il basket m'annoia,
ma il tuffo
della palla che s'insacca
senza toccare i bordi
fluff
mi piace
ché l'Universo sarebbe una cosa compiutissima
e precisa
a prender bene la mira.
Chiudo parentesi.
Dicevo.
Io m'accartoccio come
certi fogli
che poi magari finiscono nel cestino.
A differenza della maggior parte
dei fogli (accartocciati)
io il più delle volte
a un certo punto poi
mi scartoccio
(sempre da solo)
con un rumore di pensieri risolti
quasi croccante,
mi scartoccio
senza tanto clamore così come
senza tanto clamore s'accartocciano i fogli
e m'accartoccio pure io -da solo.
E' un po' più complicato che stiracchiarsi
se volete sapere come è
serve una specie di corto circuito
un giro ai pensieri
tipo gli elettroni che cambiano di orbita
(a me 'sta cosa m'ha sempre fatto morire,
degli elettroni che cambiano l'orbita se gli
ci metti -per esempio- una pila da 9 volt vicino.
Quelle quadrate dei vecchi telecomandi)
Quando poi mi scartoccio
croccante
sono un po' spiegazzato
allora è utile una mano che arriva
una mano che mi spiana
le pieghe
con calma
e mi dice "sta' tranquillo,
leggiamo che c'è scritto".

Monday, May 04, 2009

Splendy

Piacere mi chiamo Luigi Lattanzi. Gino, per gli amici: Gino Lattanzi. Non è che io sia molto bravo a raccontare però ora vorrei provarci, vorrei provare a raccontarvi come sono arrivato a questo punto in cui io, lo dico sottovoce, io sono diciamo praticamente felice. Dunque. Io sono nato ad Ariccia. Ariccia è il posto che uno dice: la Porchetta di Ariccia. Va bene. C'è a chi piace. A me no, ma non è che faccio la differenza. Se uno dice: sono nato ad Ariccia tutti gli risponderanno: Ah! La Porchetta di Ariccia (appunto). Ora. Ariccia è un posto schifoso, fatevelo dire da uno che c'è nato e cresciuto fino ai diciotto -quasi diciannove- anni, fatevelo dire: è un posto schifoso con una piazza che sembra una presa per i fondelli della geometria euclidea e poi il ponte. C'è un ponte che in realtà è un viadotto. La parte superiore di un acquedotto che praticamente è un pezzo di via Appia cioè, nello specifico, della cosiddetta Appia Pignatelli, che è quella che attraversa i Castelli Romani (quelli del vino de' 'li castelli e questa zozza società -zan zan). Insomma. C'è questa specie di sprofondo tra Ariccia e Genzano Romano che è un altro posto terrificante, ma con una sua ruspante dignità, come un dopobarba eccessivo, chessò: il Mennen. Il Mennen non so 'manco se esiste più, ma esisteva ed era il dopobarba di quelli che si lavano le ascelle nei bagni degli autogrill. Di quelli raffinati che si lavano le ascelle nei bagni degli autogrill. Il Mennen. Ecco: Genzano Romano sta all'estetica urbanistica come il Mennen ai dopobarba. Comunque. Ariccia fa talmente schifo che dalla cima di quel viadotto/Appia Pignatelli ci si butta la gente come mazzi di fiori sulle tombe (appunto). Da adolescente, quando passavo sul ponte e sbirciavo giù, arrivavano subito gli sguardi di sconcerto di tutti e dico tutti i passanti. Questo per due ragioni. La prima: i miei genitori si sono ammalati quando avevo poco meno di quindici anni e sono morti dopo due anni. Entrambi. A distanza di due settimane. Dello stesso cancro. Due esseri umani concreti e stolidi che avevano preso molto seriamente quel passo della formula che dice: "In salute e in malattia". Bravi. Io, per dire, almeno uno di loro me lo sarei tenuto, in barba alla promessa. Niente da fare. Ho finito il liceo (scientifico, papà ci teneva) vivendo con mia zia, sorella di mia madre, nubile (zitella) e -intanto- la gente di quel posto terrificante che è Ariccia, quando mi vedeva sul ponte, si preoccupava. Ignara dei deliri adolescenziali sul pregare ogni notte per un cancro uguale identico a quello che aveva schiantato i miei. Seconda ragione: Ariccia è un buco di posto (schifoso). Eppure nelle sue ridotte (e schifose) dimensioni riesce a farci stare pure quella cosa informe e oleosa che risponde alla definizione di Provincia italiana. Se siete nati in una grande città, lasciate perdere: non capirete. Se vi illanguidite con frasi come "la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia" vi svelo una cosa io: la Grazia, nel vivere in provincia, è un lampo appena percepito all'oscillazione del culo della più bella della scuola. Il resto è "tedio a morte" più qualche altro simpatico bonus tra cui spicca l'ostinata e rabbiosa attitudine di chiunque nel farsi gli affari vostri. E che sarà mai -direte voi- l'Italia intera è così. Posto che la vostra generalizzazione dovrebbe farvi riflettere, il livello di invadenza di un luogo di provincia è qualcosa che trascende l'immaginabile (per chi non lo vive). In provincia si aprono con sospetto i cassetti, nel timore che sbuchi fuori qualche cugino di terzo grado a sbugiardarvi sulla vostra igiene intima. Comunque. La combinazione di: provincia, ponte di Ariccia, Genzano Romano, il Mennen, i miei genitori morti quasi all'unisono.. ah, no. Manca una cosa. Ve l'ho detto che a raccontare non sono tanto bravo. Al liceo avevo formato un gruppo. Una cosa vergognosa: i soliti quattro scoglionati compagni di classe che tentano di dare un senso (?) al riff di "Smoke on the water". Senonché. All'ennesima festa in piazza deve suonare Tony Dallara. Quel Tony Dallara. L'illusionista da forfait. O era l'assessore. O uno che leggeva le poesie. Vabbè. Ci chiama lo zio del batterista: ragazzi c'è da suonare. Prima di Tony Dallara. Non è il massimo ma -perdio- è un palco e -perdio- davanti tutta Ariccia e il Ponte di Ariccia e pure qualcuno di Genzano Romano che esala Mennen (occhei la smetto). Decidiamo per una combinazione suicida: StairwaytoheavenSmokeonthewaterKarmaChameleon. Che cosa c'entrasse Karma Chameleon sarebbe lungo da spiegare. Saliamo sul palco. Suoniamo uno schifo. Sappiamo di aver suonato uno schifo. Scendiamo dal palco. Gli amici ci abbracciano. I parenti ci abbracciano. Tony Dallara viene da me. Mi stringe la mano. E mi dice: farete strada. Farete. Strada. In quel momento capisco che, altro che strada, abbiamo fatto davvero schifo. Tony Dallara è un burino psicopatico famoso grazie ad un unico brano, cantato a Sanremo, la cui versione fa pensare che si sia appena scolato il decimo Punt-e-mes. Tony Dallara, la sera stessa, si tromba mia cugina Luisa dopo averla notata mentre mi abbracciava sotto il palco. Tranquilli: è una vita che glielo rinfaccio. Vabbè. Diplomato, militesente (i miei genitori morti, un generale, non mi ricordo), decido di trovarmi un lavoro. C'è questo tizio di Frascati che però ha un magazzino ad Ariccia. Importaesportaricicla: boh. Lo incontro al bar più frequentato di Ariccia (fa schifo anche quello, avete indovinato). Sputazzando prosecco mi confida che gli è arrivato uno stock di un prodotto fenomenale. Un successo assicurato. Cinquanta scatoloni (cento pezzi ognuno) di "Splendy". "Splendy" è un aggeggio -mi spiega- che lava i vetri fuori e dentro. Embè? -gli faccio io. Qual è la novità? Lui increspa un sorriso diabolico, rutta, beve un altro sorso di prosecco e sputazza: contemporaneamente. "Splendy" lava entrambi le facce delle superfici trasparenti (e non) contemporaneamente. See, colcazzo.. -gli dico io. Calamìta -mi sputazza lui. Insomma "Splendy" sono due cosi quadrati che si calamitano attraverso la superficie da lavare e szgnic szgnic (questo è il suono di Splendy che lava, secondo lui) puliscono. In metà del tempo, senza doversi sperticare fuori dalla finestra e con esattezza. Se voglio (voglio?) mi fa un prezzo speciale e la merce è mia. Me la posso vendere per mercati. Quelli della domenica. Ce l'ho una macchina? Ce l'ho. Ce l'hai i soldi? Mamma e papà unisonamente previdenti: i soldi ce li ho. Comprate 'sta roba, gira pe' i mercati, fai la dimostrazione e vedi che te la tolgono dalle mani. Serve una licenza. Me la procuro. Serve un tavolinetto. Preso. Servono un microfono e un piccolo amplificatore: penso a Tony Dallara e requisisco quelli di Smokeonthewater. La prima domenica è il delirio. Arrivo tardi, quando la via centrale di Lariano (quella del Pane: Ah! il Pane di Lariano!) è già congestionata. Mi faccio strada tra cubi vestiti di nero con minicubi al seguito che arraffano gli scampoli come gli appartenessero da sempre. Ringhiano "Quantovòi?" e poi li gettano sul bancone, insultate dal prezzo e pronte a sbuffare più avanti. Riesco a ritagliarmi un rettangolo in cui aprire il tavolinetto e montare il mio set 'finestraglassexamplificatoremicrofono'. Traviato dalle prove in sala col gruppo, prorompo in un "Uantù, uantù, cech, cech". Due vecchine mi squadrano peggio che se fossi un pakistano venuto in cerca di guai. Guai seri. Un molosso coatto se la ride accanto a un mignottone a forma di Smart che solleva i Carrera (gli occhiali) e strizza gli occhi impiastrati. Non mi perdo d'animo. E inizio. Lo show è calibratissimo. Ho copiato le istruzioni contenute in ogni scatolone aggiungendo del mio. Nebulizzo generosamente il Glassex sulla finestra (il dono di un cantiere di Genzano Romano) e sciorino i pregi dello "Splendy". La magia del magnetismo. Sull' "in metà del tempo" c'è un profluvio di vene varicose che smottano: mi amano. Vogliono me. Vendo trenta (trenta!) "Splendy" e i più scettici comunque si informano. La spugnetta si può sostituire? Sì. La calamita si smagnetizza? No (cazzata). C'è in diversi colori? Che ci devi fare con i diversicolori? No, non è vero. Rispondo cortese: altri tre, ma sto aspettando il fornitore. Torno a casa con una specie di euforia in corpo che mi piglia il gozzo, poi la base del collo, poi di nuovo il gozzo e alla fine mi strofino gli zigomi per non piangere. Penso ai soldi, penso ai miei, penso al Ponte di Ariccia, penso a Tony Dallara, ai soldi, al fatto che ho diciotto anni quasidiciannove. Mi catapulto nel bar frequentatissimo (schifoso) di Ariccia e ordino un chinotto e poi, la sera, esco con un'amica del liceo che forse ci sta, forse no, forse la cosa non mi interessa mica poi tanto. Mi sto dilungando. Trascorrono circa otto mesi. Otto mesi in cui lavoro tre giorni a settimana e lo "Splendy" è un successo pazzesco. Affino la tecnica, imbastisco pure una fantomatica biografia dell'inventore dello "Splendy": un giapponese costretto a pulire le finestre dei grattacieli, che dopo aver rischiato più volte di finire sfracellato, ha ideato questo prodotto geniale (presto disponibile in diversicolori -la gente li reclama, il mio fornitore è un lavativo) che gli ha salvato la vita e gli ha fatto aumentare la produttività del doppio. Eh? -leggo nei loro occhi. Lava in metà del tempo -specifico. Aaaah! (Tripudio di venevaricose). Poi un giorno succede una cosa. Le cose, ho imparato, succedono che tu non te le aspetti. Questa, per molti, non è una novità. Lo capisco. Quello che bisognerebbe specificare ogni santissima volta è che le cose non solo succedono che tu non te le aspetti, ma pure in un modo che tu non te lo aspetti ed è quello che -in buona sostanza- ti frega e ti impedisce di farti trovare pronto (come invece sarebbe il caso, ché mica è sempre Natale). Insomma. Un giorno sono lì nel centro storico di Vetralla che è un paesino sempre dei Castelli Romani neanche troppo brutto, sono lì un mercoledì prefestivo con il mio tavolino e parlo dello "Splendy", parlo lanciatissimo, spruzzo -no: nebulizzo- Glassex e c'è tutto un parterre di giovani, vecchi, famiglie, coppie, bambini che osservano e va benino, vendo quindici "Splendy" e poi quando la ressa si allontana, mi alieno guardando il vetro della finestra con l'infisso color mogano chiaro, mi alieno e continuo a pulire con un gesto lentissimo della mano tipo il Maestro Miyagi toglilaceramettilacera. Sono ipnotizzato dalla mia stessa mano, dallo "Splendy", dalla trasparenza, dal fatto che dall'altra parte c'è un coso speculare a quello con cui tolgolaceramettolacera che si muove con me: è una specie di danza, un reciproco, una cosa a due , intima, che neanche la trasparenza tridimensionale del vetro nega. Più pulisco più vedo attraverso: è una cosa quasi Zen, penso che il Maestro Miyagi sarebbe fiero di me e a un tratto c'è questa ragazzina, questa bambina che sbuca nella cornice della finestra, dall'altra parte dove l'altra metà di "Splendy" sta facendo il suo lavoro insieme a me, magneticamente aiutandomi a dimezzare il tempo. Questa bambina avrà dieci anni, forse meno. Indossa una felpa fucsia delle Winx terrificante. Io i genitori li truciderei: comprale la felpa delle Winx, ma non di quel colore, ti prego. Insegnale la parola 'compromesso', ché tanto male non le fa, eccheccazzo. Insomma. Mi sbuca questa bambina che inizia a grattare sul vetro lasciando piccolissimi aloni che, merito del Glassex generosamente nebulizzato e dell'azione pulente dello "Splendy", evaporano velocissimamente. Io la saluto con la mano come davvero non potesse sentirmi attraverso la finestra intelaiata e attorno il nulla cioè l'aria. La saluto con la mano e sillabo un "Come-ti-chiami?" muto come fossi dall'altra parte del mondo, chessò: Ariccia-Genzano Romano senza il viadotto dell'Appia Pignatelli. Lei sillaba "Ca-ro-la" stando al gioco e io ringrazio il Signore ché almeno sul nome i genitori hanno avuto più gusto e fermezza di quanta sono riusciti a imporre per la felpa fucsia delle Winx e le dico sempre sillabando muto: "quanti-anni-hai?" E lei "No-ve" ho indovinato, le sorrido. Le dico "vuoi-uno-Splendy?" lei ride tantissimo come se l'avessi invitata a mangiare una cosa da grandi, un Carpaccio o se le avessi chiesto ce l'hai il fidanzato ,invece le dico tipo pesce le dico: "sei-sim-pa-ti-ca-ti-piac-cio-no-le-Win-cs?" e lei a quel punto ride tanto che io temo stia per precipitare di sotto, di sotto dove che è in piedi? E penso alla finta biografia che ho inventato del giapponese pulitore di vetri di grattacieli e penso che se non faccio subito qualcosa Carola morirà precipitando dall'altra parte della finestra con attorno il nulla e allora spalanco piano, la prendo sotto le braccia, lei non oppone resistenza e le faccio attraversare con cautela l'intelaiatura di mogano chiaro e la rimetto in piedi dal mio lato del tavolino e le dico:"sei salva" , adesso con la voce, il suono, le dico: "sei salva". Lei non ride, mi guarda fisso, mi dice: "Sei scemo" e io vedo la madre che arriva: "Le ha dato fastidio?" io scuoto la testa, sorrido, sventolo la mano verso Carola che si allontana guardandomi e picchiettando l'indice accanto alla tempia ridendo di nuovo tantissimo e io mollo le casse di "Splendy", il tavolino, il Glassex, il microfono, l'amplificatore e la finestra dono di un cantiere di Genzano Romano e mi allontano e da quel giorno io sono diventato felice.