Saturday, May 03, 2008

Bello Per Nessuno



Quando uno ha la mia età s'accomoda le cose. E' per via che diventa più lento, che c'ha i dolorini, che tutto gli corre veloce attorno come certi incubi in cui stai davanti alla giostra e ti pare di non riuscire a salirci mai. E' pure per via che noi vecchi ci dimentichiamo un sacco di cose e ce ne ricordiamo improvvisamente altre e allora è un guaio perché si mischia tutto e non ti raccapezzi più e quello che rimane, ti tocca accomodarlo: dargli una forma che non tutti capiscono, ma con cui tu ti orienti. Pure se sembra la cartina di qualche paese dimenticato daddio. Ci pensavo 'stamane da Gigi, che è il barbiere, mentre aspettavo il turno mio e leggevo il giornale facendo scorrere il dito sul cuoio rabberciato del divano. Gigi c'ha la mia età e certe mani che se ti fissi a guardarle, mentre tiene le forbici tra le dita, pàrono un animale strano volatile che sparecchia ciuffi di capelli. In fila in attesa ci stava Gianni. Piero era al taglio. Sulla solita sedia accanto alla cassa c'era Frequenza che lo chiamiamo così per via che sta sempre accanto alla radio nel negozio di Gigi e lui non c'ha cuore di mandarlo via e quello -Frequenza- non disturba, dice ogni tanto una frase che non si capisce e ascolta la radio con lo sguardo nell'orecchio. Sul serio. Se gli passi una mano davanti agli occhi non se ne accorge quasi, ma se t'avvicini all'orecchio si vòlta. Insomma pensavo a 'sto fatto che alla mia età uno si accomoda le cose perché Gianni aveva appena detto una frase che a me mi sembrava stupida. C'è da dire che Gianni è un fregnacciaro di prima categoria, ma infondo è un buono. Fa quasi un po' pena, come mi dice sempre Rita, quella del forno, quando lui gli scrive le poesie d'amore sui cinque euro. Rita c'ha ventidue anni è bella come il sole e noi siamo vecchi, Gia'. Vieni via: non te fa' ride' dietro.

Mi sono sempre promesso di raccontare come sono andate le cose. Ho continuato per anni a tenere una specie di memoriale che sbiadiva il rancore e testimoniava lo svolgimento dei fatti. Niente di scritto, solo la stesura ragionata -pensata- di quanto mi era accaduto. Mi infastidiva che qualcuno, privato del benestare del perdono, andasse in giro a inventare episodi col pretesto autoindulgente di limitarsi alla sua 'versione dei fatti'. Me lo sono promesso perché non è giusto approfittare del silenzio altrui, almeno quanto è scorretto prendere le parole degli altri al balzo e trasformarle nel proprio salvacondotto. Ho sempre pensato che un giorno avrei interrotto una conversazione qualunque e avrei iniziato dicendo: "Ora vi racconto come stanno le cose". Così, per fare chiarezza: ché i torti e i veleni non muoiono con la verità, ma dirli è già qualcosa. E invece mi ritrovo qui, dopo gli anni che son stati, senza più la voglia: senza più la forza 'manco di sorridere amaro. Non c'è perdono e non c'è indulgenza: c'è che non importa più niente a nessuno di com'è andata e anzi addirittura tutti inguattano le conseguenze nel fondo delle tasche e vanno avanti e indietro così, senza mai più stringere la presa sulle cose, per la paura di sentirsele scivolare dalle mani e poi giù ancora. Tutta questa inutile paura. E questo -inutile- mio coraggio fuori tempo massimo.

Insomma Gianni aveva messo su l'aria da filosofo e aveva detto, in buona sostanza, che l'unico insegnamento, l'unica cosa che a una certa età finalmente capisci, è che niente ha senso. E niente mai ce l'ha avuto. E ti devi arrendere e goderti cose minuscole, sempre più piccole, man mano che l'età aumenta. Che i ricordi sono una scusa e non un sollievo. Che rimane ben poco. Alla fine rimane poco e anche stare lì, a farsi tagliare i capelli da Gigi era una cosa inutile: un vezzo ridicolo davanti al senso delle cose che non c'è.

Il giorno che t'ho sposata mi cercavo nello specchio e tremavo al pensiero di trasformarmi in una fotografia coi graffi e le ditate delle domeniche pomeriggio. Tremavo tanto che mio fratello m'ha portato un bicchiere e m'ha detto "Bevi" e io ho buttato giù tutto d'un fiato, mi sono seduto su una sedia, attento a non rovinare la piega dell'abito e ho continuato a tremare perché capivo che si trattava di conservare la tua bellezza: proteggerla dal tempo e dalla mia stupidità. Noi maschi siamo scemi sul serio ed è palese nei momenti peggiori: facciamo un gran casino perché i conti non ci tornano mai e ci sistemiamo nel segno più delle addizioni e ci aggrappiamo al meno delle sottrazioni e ripetiamo i calcoli cento volte. Cancelliamo gli errori finché non restano i buchi nei fogli e altri nella testa. Ma non è questo che voglio dirti. Quello che voglio dirti è che il giorno che t'ho sposata io tremavo chiedendomi se sarei stato capace di conservare la tua bellezza. Ammirarla e rispettarla finché morte non ci avrebbe separato o perlomeno tutto il diavolo di tempo in cui saremmo stati capaci di rintracciarci con uno sguardo da una parte all'altra di una stanza. Capaci di fare quel numero da coppia, quello in cui mezzo secondo basta per venire a capo delle storture del mondo, per trovare una porta, un'uscita e respirare all'aria aperta: "Ci sei?". "Ci sono". E poi è stato ancora più strano scoprire che ce l'avevo fatta. Fino alla fine. Già. 'Finché morte non vi separi': vaffanculo alla bellezza che non posso più conservare. Che non posso più proteggere.

E io a quel punto non c'ho visto più e mi sono alzato in piedi e mi sentivo stanco, stanchissimo come prima delll'ultimo metro per un traguardo che neanche sai di dover raggiungere. Mi sono alzato in piedi e gli ho detto: Gianni queste sono stupidaggini. So' fregnacce. E sono stupidaggini che c'hanno un senso solo nella tua vita spaventata con i cani dietro a rincorrerla. Sono stupidaggini che puzzano di paura e la paura produce il puzzo più insopportabile che esista e tu -intanto- sei libero di fare come vuoi. Sei libero di scappare invece di trovare il coraggio per fermarti: il coraggio di scoprire che nessuno ti insegue e che il Tempo a cui credi di farla franca, invece è lì che ti aspetta altrove. Ed è per questo, Gianni, che dici fregnacce. Per lo stesso motivo per cui io invece stiro la camicia ogni mattina e mi pettino e mi cerco allo specchio e -sì- mi rendo presentabile. Perché cerco di avere ancora cura per me stesso come se 'morte non mi avesse separato' proprio da un bel nulla. Anche se lo ha fatto. A forza, per giunta. Quella stronza. Cerco di aver cura per il tempo e il senso che mi aspettano altrove e non perché qualcuno si avvicini o mi sorrida o pensi: "Ma che bel signore!". Vecchio, Gianni. Un vecchio signore: ecco cosa sono. Un vecchio signore che si fa bello per nessuno.

5 comments:

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Intweetion said...
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