Sunday, August 26, 2007

Crono deragliatore



Mio nonno di secondo mestiere incantava gli orologi.
Non è che li ipnotizzasse, lui li bloccava proprio. La dicitura che aveva inventato era "Cronoderagliatore". Sosteneva che un'attività, quale che fosse, dovesse avere un titolo preciso. Un nome che la identificasse: altisonante il giusto, professionale, da apporre su una targa o un cartello qualora necessari. Il secondo mestiere di mio nonno -quindi- era "Cronoderagliatore". Il primo non aveva nulla a che fare con gli orologi. Col tempo -forse- un po'. Mio nonno di primo mestiere faceva il telegrafista. Picchiettava messaggi a puntolinea. Aveva imparato sotto le armi. Durante la Seconda Guerra. Poi era passato al servizio dei postelegrafonici. Quando era molto nervoso o triste, iniziava a tamburellare ritmicamente su una superficie piana o sulla gamba. Telegrafava il suo sconforto. Imparai il Codice Morse per capire cosa raccontasse al suo immaginario ricevitore, ma i suoi battiti erano troppo veloci e persi presto ogni speranza di esaudire la mia curiosità.
Di secondo mestiere invece mio nonno faceva il Cronoderagliatore. Iniziò la sua professione con una pendola, in casa. Non lo infastidivano tanto i rintocchi quanto l'evidenza di quello scorrere. Un pomeriggio lo vidi ricavare uno spessore di cartone dalla scatola di un medicinale. Aprì lo sportello e bloccò il meccanismo. Gli occhi gli brillavano. Fissava le lancette con una soddisfazione palese. Da qualche parte il tempo scorreva ancora: non lì.
Giorno dopo giorno, sabotò tutti gli orologi nell'appartamento. Al suo entusiasmo non sfuggì neanche un vecchissimo cucù: rivoltante regalo di nozze che lasciava appeso solo per la gioia di noi nipoti. Per gli orologi elettrici, usava la colla. Ne aveva smontato uno, per studiarne il meccanismo. Una volta richiuso, lo aveva bloccato sulle 14 e 32. Avrebbe potuto semplicemente rimuovere le batterie o romperlo. L'idea però, era che l'orologio continuasse a funzionare, venendo inibito a proseguire la corsa. Come in un'eterna paralisi temporale. Ormai, quando andavo a trovarlo, dovevo tenere il tasca il mio, sicuro che rischiasse la fine degli altri. Era bello sedere uno di fianco all'altro. Guardare la pendola del salone, con l'impressione di vedere le lancette costrette a una microscopica, stremante oscillazione sul posto. La voce si sparse. Mio nonno aveva una serie di abitudini alle quali non rinunciava mai. Una di queste era il giro mattutino del quartiere. Edicola, forno, vineria, negozio di sementi per i suoi canarini e qualche chiacchiera con altri pensionati, schivando il pallone di alcuni miei -allora- maleducatissimi coetanei. Farsi pubblicità gli riuscì facilmente. Superati i sessantacinque anni, tutti quegli anziani cercavano di evitare di pensare al tempo con risultati molto più che disastrosi. L'idea di mio nonno sembrò a tutti una vera liberazione. La casa si riempì di orologi. Molti dei 'clienti' non riuscivano neanche a pronunciare la parola "Cronoderagliatore", cosa che faceva innervosire mio nonno e il suo dito lungo la gamba. Non era puntiglioso: ci teneva. Ecco. Era una di quelle persone che 'ci tengono'. Offriva sempre il caffé a chiunque gli portava del lavoro. Lo preparava con la 'Napoletana'. Usava il metodo del beccuccio, canonizzato dalle commedie di Eduardo. Questo gli conferiva un'aria ulteriormente capace agli occhi di tutti quegli attempati romani che si limitavano a piazzare la moka sul fuoco. Mio nonno ha deragliato orologi finché è campato. Una volta, mentre apparecchiavamo la tavola (un altro dei riti che gli piaceva condividere con me), gli ho chiesto perché lo faceva. Avevo capito il suo fastidio, ma mi sfuggiva la ragione profonda. La sua. Gliel'ho domandato piano, con la paura di togliere poesia a quel gesto, a quella sua seconda attività seguita con tanta passione. Mi ha risposto che così uno era più libero quando si trattava di scegliere. Che poteva scegliere tutta la vita.

2 comments:

Anonymous said...

ma che bella!

Intweetion said...

Grazie Miche' :)