Sunday, September 09, 2007

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Io sono abituato a contare al contrario. Intuire la durata delle cose, associargli una cifra e poi cadenzare i numeri a ritroso. E' come attribuire una data di scadenza. Riuscire a stabilire il decadimento, la dinamica dell'asfissia. Ci sono indizi da indagare. Dettagli a cui guardare per pronosticare con maggiore esattezza. Uno di questi è il respiro iniziale. L'immissione dell'aria che ossigena le prospettive. L'ottimismo del trasporto. Quello che tutto e tutti sembrano ignorare travolti dall'impatto della novità. Del cominciare. Io misuro quel respiro come avessi uno spirometro piantato negli occhi e ipotizzo un numero. Da lì, procedo al contrario. Conto il tempo scandendo unità di secondi decrescenti e guardo il mondo di quella promessa collassare man mano che le cifre si assottigliano. Un altro indicatore efficiente è l'attitudine all'autodistruzione. Potrà sembrare strano ai più, ma molti oggetti hanno la singolare tendenza ad accelerare il proprio decadimento quando superano una certa soglia di mantenimento. La loro natura riceve un colpo: un colpo autoinferto. Diventano consapevoli della loro precarietà, diventano consapevoli di quanto sono stati presuntuosi nella loro indifferenza verso chi li ha resi tali o nei confronti di chi li ha fatti esistere regalandogli un valore aggiunto. A quel punto inizia l0 smantellamento. Perdono smalto e attrattiva. Si coprono più facilmente di polvere e intraprendono una lotta patetica contro il finale che loro stessi hanno suggerito. Succede anche alle persone, ma è un processo più raffinato. O più caotico. Dipende dal livello di autostima. Io, intanto, sono lì che conto. Sciorino numeri. Mantengo la stessa velocità anche quando il processo sembra affrettarsi o incagliarsi contro qualche escamotage. Mantengo la stessa velocità perché so che mi raggiungerà o rallenterà, aspettandomi. La durata a volte è sul fondo della confezione. Altre in cima. O scritta in caratteri minuscoli dopo la lista degli ingredienti. In bella evidenza se la spavalderia del pessimismo illude chi produce. La durata è sempre 'consigliata'. Ma tutto quello che la segue ha un sapore consunto di decadimento protratto e -credetemi- non c'è niente di più nauseante del gusto di una scadenza procrastinata. Non è un'abitudine allegra, la mia. Ne sono la prima vittima e l'ultimo ad ottenere un riconoscimento. A cosa mi serve saperlo? A nulla. Non cerco la conferma del dopo, mi piacerebbe la rassicurazione del prima. E' solo qualcosa che capisco e che registro in maniera convulsa. Come quei piccoli autismi legati a mattonelle sul pavimento e linee da un punto all'altro. Non cerco di indovinare un ordine generale. Non c'è e non c'è mai stato. C'è invece un ordine piccolo e strutturato all'interno di mondi ancora più piccoli e strutturati. La cui noia è direttamente proporzionale alle dimensioni degli inganni perpetrati al fine di sfuggire allo zero definitivo. Tutto il resto è improvvisazione. E necessita che quelli come me, quelli che conoscono la cifra iniziale, siano tenuti cautelativamente alla larga. Io sono abituato eppure le abitudini si possono sbriciolare. Come residui di biscotto sotto la scarpa. Come la sabbia cristallizzata dal freddo della notte precedente. Solo, ci vuole più tempo. Sicuro c'era una scadenza anche per questo. Anche per me. Devo averla tralasciata. Devo essermi distratto. Devo aver perso di vista il conteggio perché partiva da una cifra troppo elevata. Millemilioni di zeri a seguire. Uno solo a cui arrivare. Quello di stamattina. Questa mattina in cui tutto procede al contrario e il giorno corre in avanti e i passi sono una successione: non una sottrazione alla distanza già calcolata. Questa mattina in cui la mia abitudine è schiantata un millimetro alla volta contro quanto ho già fatto e quello che c'è da fare che ancora non conosco ma voglio. Questa mattina in cui esco di casa e non so quando sarà il momento di ripetere gli stessi gesti al contrario. Non inizio nessun conto alla rovescia. Cammino -anzi- numerando i passi in avanti.
Uno, due, tre...

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